Padova. Un tesoro di mille parole, è uscito il libro postumo di Manlio Cortelazzo: raccoglie i termini in dialetto che stanno sparendo

Domenica 18 Febbraio 2024 di Nicoletta Cozza
Padova. Un tesoro di mille parole, è uscito il libro postumo di Manlio Cortelazzo: raccoglie i termini in dialetto che stanno sparendo

PADOVA - Una sorta di museo. Certo, è una metafora, ma come in un allestimento permanente il racconto del nostro passato è affidato per esempio a una serie di anfore, nella fattispecie a narrarlo sono i vocaboli, a volte di largo uso ma spesso rari, della città e della campagna, di etimologia accertata, o dubbia. Recuperati con impegno, ma soprattutto con passione, e trascritti su un taccuino che l'autore teneva sempre in tasca, diventato una memoria narrante. Che ora è stata raccolta e organizzata in ordine alfabetico per essere proposta agli appassionati. Si intitola "Parole padovane" (Esedra editrice), il libro postumo di Manlio Cortelazzo, professore di Dialettologia italiana e autore in precedenza assiema a Paolo Zolli del Dizionario Storico Etimologico della Lingua Italiana (Zanichelli), mancato il 3 febbraio del 2009 appena compiuti i 90 anni, in uscita in questi giorni, curato dalla nipote Francesca Cortelazzo. Il volume raccoglie appunto oltre mille lemmi che il docente aveva pubblicato con l'impianto di un vocabolario, nell'arco temporale che va dal 1996 al 2008, sulla rivista "Padova e il suo territorio", raccolti ascoltandoli dalla viva voce di persone che, seguendo la tradizione, parlano dialetto a Padova e nella sua provincia, o attinti dal censimento di altre opere che utilizzano il medesimo linguaggio.

Dello stesso scrittore, considerato uno dei maggiori esperti italiani di etimologia, è un precedente volume con il medesimo impianto, "Lessico veneto contemporaneo", dato alle stampe nel 2019 e curato da Anna Cortelazzo, un'altra nipote.

I PARTICOLARI

A entrare nel merito di "Parole padovane" è Michele Cortelazzo, primogenito del compianto Manlio, a sua volta professore emerito di Linguistica italiana e direttore fino al 2022 della Scuola Galileiana di Studi Superiori. «Si tratta - spiega - del completamento di un dittico avviato nel 2019, ma che non era arrivato a conclusione a causa della pandemia. Negli ultimi 20 anni, da persona lucida e attiva quale era, mio padre aveva tenuto due rubriche su altrettante riviste, "Padova e il suo territorio" e "Quatro ciacoe", di tono diverso, ma che avevano un punto in comune, cioè individuare parole in via di sparizione del nostro dialetto, che cercava scartabellando pubblicazioni, interrogando persone, soprattutto nella zona dei Colli Euganei, con l'obiettivo di analizzare e conservare l'etimologia di quelle più strane, tipicamente venete e dialettali. E alla fine ha raggiunto l'obiettivo perché è riuscito a metterne insieme un migliaio per libro, che costituiscono un patrimonio per il futuro: si tratta di una raccolta continua che in qualche modo va integrare i vocabolari veneti che aveva dato alle stampe in precedenza». Una testimonianza diretta, dunque, di come sia il dialetto coltivato da chi lo utilizza parlando, ma anche in forma scritta. «Ogni mese - dice ancora Cortelazzo - su "Quatro Ciacoe" c'erano ben 40 pagine scritte appunto in dialetto per raccontare storie o scrivere poesie. E abbiamo voluto che fossero i giovani, appunto le nipoti Anna e Francesca, a portare l'onere e l'onore di rimettere insieme questo impegno del nonno a cui erano molto legate. Tante osservazioni fatte da mio padre risultano sconosciute agli studiosi e agli appassionati, mentre ora abbiamo ben 2mila parole che riportano al dialetto più vecchio. Lui si era divertito moltissimo a fare questo lavoro, che oggi ha anche un'utilità sociale come è giusto che sia». Un patrimonio che si rischiava di perdere e che adesso viene messo a disposizione come una sorta di museo.

LE CURIOSITÀ

Fra le particolarità che riporta il glossario "Parole padovane" va citata la voce "fighi figaìni" o "sigaini" che ha trattato due volte considerando le versioni con entrambi le iniziali. «A Galzignano, come a Valle San Giorgio e a Baone, ho raccolto, quale denominazione di una qualità di fichi, l'espressione (fighi) figaini - scrive Manlio Cortelazzo - Na qualità che mi digo la jera tipica proprio de i nostri coli, na vera specialità, e anca i pi cari so 'l marcà, rissercà da i frutaròi e anca par fare marenda (pan e fighi figaini: na delissia). È la voce polesana a darci la chiave per ipotizzare l'origine dell'espressione: zigalìn corrisponde all'italiano cicalino pertinente alla cicala'. In it. esiste il (grano) cicalino o grosso varietà di grano estivo', così i nostri (fighi) sigaìni, e a Galzignano figaìni, si chiamano così perché si coglievano al tempo del frinire delle cicale». Vale la pena, poi, di soffermarsi pure sul lemma "Peronio", che racconta una storia. «È il nome antico - si legge nella definizione data dall'autore - dell'attuale Piazza della Frutta di Padova La voce s'incontrerebbe anche a Venezia e a Pavia, oltre che, nella forma francese perron. Dalle sparse notizie raccolte, si può ricavare che il perron, parola ricca di significati, era una colonna di pietra o, meglio la sua base, eretta nel centro del mercato, come simbolo della giurisdizione e della libertà comunali: presso di essa si proclamavano i bandi, si tenevano discorsi pubblici, si praticava la giustizia». Interessante è pure la parola "straleca", una particolare specie di carne e l'autore per ricostruirne l'etimologia non aveva esitato a interpellare i vecchi macellai.

IL PARERE

A fare sintesi dell'opera di Manlio Cortelazzo è poi Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune patavino, che ha curato la presentazione riportata all'inizio del libro. «Se la raccolta e l'illustrazione delle singole parole è frutto del lavoro individuale di un illustre studioso, il libro può essere visto come il risultato di un'opera corale, delle testimonianze di donne e uomini che hanno conservato il patrimonio lessicale trasmesso dai genitori e dai nonni: l'hanno coltivato, l'hanno usato nelle loro opere, l'hanno donato a chi li ha interrogati. Questo volume è dunque la testimonianza di un tesoro linguistico che ci caratterizza come padovani': un "condensato de paroe" che ci giunge letterariamente già dall'opera di Ruzante, spesso citato in questa raccolta, ma anche da collaboratori nostri contemporanei, "vegnui da' campi" (direbbe sempre Ruzante), o dalla città di Padova. È un corpus dialettale, di grande interesse che susciterà la curiosità degli studiosi, italiani e stranieri, ma anche di tanti cittadini che vi troveranno echi della loro storia linguistica individuale». 

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