VENEZIA - Erano stati sospesi dall'impiego, e dalla retribuzione, perché si erano rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid, obbligatoria anche per le forze dell'ordine a partire dal 15 dicembre 2021. Tre mesi dopo, militari e agenti avevano ottenuto dal Tar del Veneto di poter temporaneamente recuperare lo stipendio, chi metà e chi intero, in attesa che i loro ricorsi venissero esaminati nel merito. Ebbene, gli 11 verdetti di primo grado (appellabili in Consiglio di Stato) sono stati depositati ieri e vanno contro le aspettative dei no-vax: secondo i giudici amministrativi, era stato legittimo lo stop per un periodo al lavoro e alla paga, in base «alla condivisibile esigenza di impedire che l'immediata immissione in servizio di soggetti non vaccinati» potesse «determinare una recrudescenza dell'andamento pandemico, vanificando gli esiti favorevoli delle misure di sanità pubblica applicate durante il periodo emergenziale».
LA SOSPENSIVA
I dipendenti dei ministeri della Difesa e dell'Interno avevano spiegato le proprie ragioni, riferite alle diverse situazioni personali, ma accomunate dalla tesi della «contrarietà dell'obbligo vaccinale alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, alla tutela della salute (per la pericolosità insita nella pratica vaccinale) e della famiglia», in quanto i militari e gli agenti venivano privati «dei mezzi economici per far fronte ai bisogni dei propri familiari».
I DIRITTI
A distanza di due anni, il Tar ha fornito una valutazione complessiva, con argomentazioni che si ripetono nelle 11 sentenze pubblicate. I verdetti richiamano innanzi tutto le motivazioni con cui nel 2023 la Corte Costituzionale, esprimendosi su un caso sollevato dal Tribunale di Padova, affermava che l'obbligo vaccinale «non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili». La norma «ha operato un contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione». All'epoca la vaccinazione era stata prescritta pure ai medici, agli infermieri e agli oss, hanno ricordato i giudici: «Il sacrificio imposto agli operatori sanitari ma il principio appare applicabile anche ai militari e ai membri delle forze di polizia non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all'andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini».
Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo «ha ribadito come la vaccinazione obbligatoria non costituisca un'ingerenza nella vita privata», se viene «imposta per uno scopo legittimo, consistente nel proteggere, sia coloro che ricevono la vaccinazione sia coloro che non possono riceverla, dalle malattie che possono comportare un grave rischio per la salute». Esclusa una discriminazione di militari e poliziotti, così come di sanitari e insegnanti, rispetto agli ultra 50enni non vaccinati che avevano avuto "solo" una multa di 100 euro. Per i magistrati, «la previsione di un obbligo rafforzato, nei confronti di particolari categorie di lavoratori e professionisti», trova giustificazione «nella necessità di assicurare lo svolgimento dei compiti essenziali (di formazione, di protezione degli individui e della collettività, di tutela dell'assetto sociale ed economico, della sicurezza, ecc.) che lo Stato affida alla cura di tali categorie».