Luca Zaia: «Il centro regionale per il cambio del sesso? Una scelta di civiltà»

Giovedì 9 Marzo 2023 di Angela Pederiva
Luca Zaia: «Il centro regionale per il cambio del sesso? Una scelta di civiltà»

Per la delibera, manca solo la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione. Ma il suo contenuto, “approvato con voti unanimi e palesi”, è già molto chiaro: “Così come previsto dalla normativa nazionale e regionale, si propone oggi (martedì, ndr.) di concentrare nell’Azienda Ospedale-Università di Padova la presa in carico degli assistiti con disturbi di identità di genere, in quanto costituisce attualmente la sede professionalmente più adeguata per il Centro di riferimento regionale”. All’indomani del via libera al provvedimento atteso dal 1993, il presidente Luca Zaia ne rivendica le motivazioni: «È un fatto di civiltà, oltre che di legge e di Lea».
Ci sono voluti trent’anni: sarà la volta buona, dopo che i precedenti tentativi (nel 2014 sempre a Padova e nel 2017 ad Abano Terme) sono rimasti di fatto sulla carta?
«Avevamo già provato, in tempi non sospetti, a individuare questa struttura, ma per tutta una serie di dinamiche, tra cui il Covid, non siamo riusciti a farla decollare. Debbo dire che l’assessore Manuela Lanzarin ha fatto un bel lavoro: io le avevo dato questo mandato e lei ha portato avanti questa partita. Onestamente la delibera era pronta da mesi, ma ho voluto fortemente che non fosse inficiata da periodi elettorali e da discussioni nazionali. Ho preferito aspettare un momento di pace, perché non ci fosse strumentalizzazione politica, dato che è una bella cosa. Per me è un segno di civiltà, un percorso che faccio assieme a tutti i veneti, anche sulla base delle apprensioni che ho raccolto».
In che senso?
«Conosco due persone che hanno intrapreso questo percorso e le ho viste in difficoltà già nella fase dell’orientamento. Non è un caso che a questo tema abbia anche dedicato un capitolo del mio libro “I pessimisti non fanno fortuna”. Abbiamo voluto recuperare il tempo perso: si pensi solo che la legge statale che regolamenta il cambio di sesso all’anagrafe, anche senza intervento chirurgico, è addirittura del 1982».
Cinque anni fa però i tempi non sembravano ancora maturi nel centrodestra regionale, ricordando le feroci polemiche dell’epoca. È cambiato qualcosa da allora?
«Bisogna uscire, per chi ancora lo avesse, da quel tabù. Ormai il Veneto guarda alla modernità, all’inclusività, al rispetto umano. Occorre capire che non stiamo parlando di cose fantascientifiche o di comportamenti contro la natura. Si tratta fondamentalmente di pochi casi, che in un anno si contano sulle dita di una mano in Veneto, relativi a persone che non si riconoscono nel loro genere. Come si dice, sono nate nel corpo sbagliato, dopodiché hanno compiuto un percorso giuridico, fino ad arrivare ad avere in mano una sentenza di Tribunale. A me spiace che qualcuno in passato abbia fatto certi commenti: “Si fanno operare per andare a prostituirsi”. Ma come si può dire una cosa del genere?».
Eppure è stato detto.
«Qui stiamo parlando di una difficoltà ad accettare il genere che la natura ha dato. Basterebbe conoscere l’embriogenesi che, io ho studiato all’Università, per capire come si determina il carattere sessuale nell’embrione e quando in alcuni casi il carattere non è così determinato o determinante. Ecco perché dico che per me è un fatto di civiltà».
È anche un fatto di Lea, una prestazione che il Servizio sanitario regionale ha l’obbligo di garantire.
«Per me prima viene il fatto di civiltà. Ma poi giustamente è vero anche quello: forse qualcuno non ha capito che siamo davanti a un Livello essenziale di assistenza, non a un vezzo».
Era stato Nicola Finco, al tempo capogruppo della Lega, a parlare di «perversioni» e «vizi personali che non possono essere pagati con soldi pubblici».

Sicuro che questa volta non saranno nuovamente presentate mozioni di contrarietà anche dal suo partito?
«Rispetto le idee di tutti, al punto tale che faccio una delibera come questa, che non mi riguarda personalmente. L’amministratore non può avere una visione egoistica e personalistica. È un po’ come quando si parla di fine vita. Non si può dire: finché ci sono io, questi temi non verranno toccati. O come quando si discute di aborto: approvare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, non significa essere a favore di quella pratica, ma assicurare l’esercizio di un diritto, che è un’altra roba. Come ho scritto nel mio libro, chi fa politica deve garantire le libertà, non limitarle».
Come valuta il ripensamento sul tema da parte dell’assessore Elena Donazzan?
«L’assessore ha fatto il suo dovere, punto. Quello che deve fare un amministratore corretto, davanti a una delibera come questa, è solo una cosa: votarla».
Perché avete scelto l’Università di Padova e quindi l’Azienda ospedaliera? 
«L’accademia ci dà totale tranquillità, perché il progetto sarà validato scientificamente. Una volta autorizzati dopo una lunga trafila, questi interventi chirurgici sono molto complessi, in quanto prevedono professionalità ad altissimo livello. Non è facile averle poiché ci vuole casistica, quindi immagino che ci sarà un’osmosi con professionisti a livello nazionale e internazionale».
È un segno politico il fatto di aver spostato il centro dal privato-accreditato al pubblico?
«Non è uno smacco verso i privati.

Abbiamo scelto di mettere in piedi una struttura molto articolata che, mi rendo conto, un privato ha difficoltà a gestire. Grazie all’Università avremo una squadra di professionisti che potranno occuparsi anche di altri interventi importanti nell’area genitale».

Ultimo aggiornamento: 07:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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