In dieci anni, per queste operazioni, i Comuni del Veneto hanno portato a casa 65 milioni di euro. Solo nel 2023, perché i contributi sono già arrivati in cassa, sono già entrati circa 8 milioni di euro. In Friuli Venezia Giulia, invece, si parla letteralmente di briciole. Primo perché i Comuni che si sono realmente uniti abbandonando la logica del campanile non sono tanti; secondo perché è il regime del finanziamento, a rimanere diverso in quanto prettamente regionale. Sono i numeri - lusinghieri appena oltrepassato il confine regionale - dei benefici rappresentati dalle fusioni tra Comuni, un tema che ora torna d’attualità grazie all’ingresso nella maggioranza del secondo governo Fedriga di elementi assolutamente favorevoli a un riavvio del processo per l’unione tra piccoli paesi.
I numeri
La ricerca è stata guidata e firmata dalla Fondazione Think Tank Nordest e ha messo l’accento sui soldi che arrivano in Veneto, dove peraltro ci sono in itinere altri quattro grandi progetti di fusione tra Comuni di piccole dimensioni.
I calcoli
Come vanno le cose in Friuli Venezia Giulia? Meno bene. Si parta ad esempio da un Comune come quello di Valvasone Arzene, unico esempio di fusione riuscita (a metà, perché inizialmente doveva far parte dell’insieme anche la vicina San Martino al Tagliamento) nel Friuli Occidentale. In tutto il beneficio dalla Regione è stato di 1,9 milioni di euro. Ad Alpago, provincia di Belluno ma solo pochi chilometri oltre il confine della nostra regione, sono andati in sette anni più di otto milioni di euro. È una somma quattro volte superiore. Una grossa differenza, va ricordato, risiede nel fatto che appunto in Veneto si ragiona sui contributi derivanti da una legge dello Stato, mentre in una regione come la nostra, che ha uno statuto speciale e che si basa in alcuni temi su regole proprie, la normativa non prevede finanziamenti così elevati. Si tratta quindi di un sistema che a conti fatti risulta disincentivante.
Un altro caso è quello di Rivignano-Teor, una fusione riuscita in provincia di Udine tra due comuni della “Bassa”. Lì, agli amministratori, è andata una sorta di una tantum da un milione e mezzo di euro.
Si sale poi in montagna, nello specifico in Carnia, dove si sono uniti i comuni di Treppo e Ligosullo in un’unica realtà amministrativa in quota. In quel caso sono stati erogati 200mila euro al momento dell’avvio tecnico del processo di fusione e successivamente mezzo milione per i primi due anni. Lo stesso è accaduto ad esempio tra Fiumicello e Villa Vicentina.
Bastano questi numeri per capire perché in Friuli Venezia Giulia in questo preciso momento ci siano zero progetti reali per fondere nuovi comuni e iniziare quelle economie di scala promesse un tempo. In Veneto, invece, il meccanismo funziona.