Banda della Uno Bianca, nuovo permesso premio ad Alberto Savi. Sconta l'ergastolo a Padova

Giovedì 7 Gennaio 2021
Una foto d'archivio del 13 maggio 1995 mostra Alberto Savi nella gabbia del tribunale di Bologna durante la seconda udienza del processo per i delitti della Uno Bianca, in cui era imputato assieme ai fratelli.
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PADOVA - Polemiche per un nuovo permesso premio ottenuto per Natale da Alberto Savi, il minore dei fratelli componenti della Banda della Uno Bianca, che sta scontando l'ergastolo a Padova.

L'ex poliziotto dal 2017 può usufruire di permessi regolarmente.

Gli altri due Savi, i capi del gruppo, Fabio e Roberto, sono invece in carcere a Bollate (Milano) e attualmente non godono ancora di benefici. Il permesso ad Alberto suscita la rabbia dei parenti delle vittime: «Solo in Italia - dice al Resto del Carlino Anna Maria Stefanini, madre di Otello, uno dei tre carabinieri uccisi al Pilastro il 4 gennaio 1991 - dopo 24 morti ti danno pure un permesso premio e ora diciamo che è uscito perché se lo merita, perché si è comportato bene, è una vergogna, l'ennesimo scandalo».

In occasione dei 30 anni dell'eccidio da parte di alcuni familiari è stata inoltre annunciata la richiesta di riapertura delle indagini. «Astenendomi da qualsiasi valutazione sui clamori di questi giorni sulle indagini integrative da me svolte dopo l'arresto dei componenti la banda della Uno bianca - dice il sostituto procuratore generale Valter Giovannini, all'epoca pm che seguì indagini e processi sui delitti bolognesi della banda - e auspicando una obiettiva lettura di tutte le carte, una volta che saranno digitalizzate, in generale e senza entrare nel merito del permesso concesso ad Alberto Savi la cui posizione è stata vagliata dalla magistratura di sorveglianza, mi permetto solo di ricordare che sono anni che sostengo come le norme su permessi e liberazione anticipata andrebbero modificate in senso restrittivo». «L'associazione vittime della Uno bianca - prosegue Giovannini - ha la forza e la credibilità per farsi promotrice di iniziative legislative in tal senso». 

«Sarà diventato così buono? Io non ci credo. Loro non erano persone civili, erano come animali, e spero che nessuno si debba pentire di tutti questi permessi premio, perché non vorrei che facessero qualcos'altro». Rosanna Zecchi, vedova Primo, una delle 24 vittime della banda della Uno bianca e presidente dell'associazione familiari, commenta così in una intervista all'emittente Ètv la notizia che Alberto Savi, il minore dei fratelli componenti della banda, per le feste di Natale ha usufruito nuovamente di un permesso premio uscendo dal carcere di Padova dove sta scontando l'ergastolo. «Non dimentichiamo che, per colpa loro, noi da 30 anni non stiamo assieme ai nostri cari - ha detto ancora Zecchi - queste persone hanno fatto troppo male a tanta gente, dai nomadi, ai carabinieri, e per niente. La sera che hanno ucciso mio marito avevano preso 600.000 lire». Primo Zecchi fu ucciso nell'ottobre 1990 in via Zanardi, a Bologna, perché aveva annotato la targa dell'auto dei banditi in fuga dopo una rapina. Rosanna Zecchi condivide l'opinione espressa dal sostituto procuratore generale Valter Giovannini, sul fatto che le norme su permessi e liberazione anticipata andrebbero modificate in senso restrittivo: «Sono d'accordissimo, per chi fa crimini di questo genere dovremmo buttare via la chiave».

Ultimo aggiornamento: 14:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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