Quel segnale invisibile e la diagnosi senza scampo: «Io e Gaia, 22 anni con la sclerodermia»

Domenica 10 Dicembre 2023 di Riccardo Magagna
Elena De Stefani e la figlia Gaia

PADOVA - Non ci si sente mai soli quando si fa parte di un gruppo, soprattutto se si parla di malattie rare. Ed è così che dal 2001 è operativa "Il Volo": un'associazione di pazienti e genitori che ha come finalità quella di divulgare la conoscenza delle malattie reumatiche del bambino, sostenere le famiglie e supportare la ricerca di queste malattie, le cui cause, sono ancora ignote e multifattoriali. La vicepresidente dell'Associazione è Elena De Stefani che è mamma di Gaia, una ragazza di 22 anni affetta da sclerodermia.

La sclerodermia è una patologia rara che colpisce principalmente la pelle, rendendola traslucida e dura (forma "localizzata"); ma può interessare anche articolazioni, vasi sanguigni ed organi interni (forma "sistemica") dando luogo a disturbi intestinali, problemi respiratori e cardiaci. Le terapie ora disponibili consentono di controllare la malattia e di limitare i possibili danni d'organo che si possono sviluppare nel tempo.


Come avete scoperto la sclerodermia in Gaia?
«Era novembre del 2005. Gaia aveva appena 4 anni e aveva iniziato ad accusare delle fitte molto forti, lei le chiamava "flash", che duravano 10-15 secondi all'estremità del mignolo della mano destra. Il campanello d'allarme è scattato quando questi flash le sono venuti durante la notte. Abbiamo contattato subito la pediatra che tempestivamente ci ha indirizzato dal professor Zulian a Padova. Gaia è stata subito ricoverata perché i flash erano la manifestazione del fenomeno di Raynaud che impedisce all'ossigeno e al sangue di arrivare alle estremità degli arti. Ciò, dunque, poteva essere la manifestazione della sclerodermia».

Come è cambiata la vostra quotidianità?
«Le malattie di questo tipo coinvolgono tutto il nucleo familiare. Stando a fianco di Gaia e confrontandomi quotidianamente con i medici, pur capendo la gravità della situazione, avevo la consapevolezza che mia figlia fosse in buone mani e questo mi rassicurava. A casa, purtroppo, non è stata la stessa cosa perché mio marito, essendoci già passato con i suoi familiari (il nonno di Gaia aveva la sclerodermia), ha fatto più fatica ad accettare la malattia».

Oggi Gaia come sta?
«Gaia è una studentessa di psicologia all'Università Cattolica di Milano, dove vive e affronta la sua quotidianità con il nostro supporto. L'evoluzione della sclerodermia è stata costante fino ai 14 anni. La malattia si è, poi, leggermente attenuata ma sono apparse le calcinosi (accumuli di calcio nei tessuti molli che da qualche anno le impediscono di piegare la gamba destra) che dal punto di vista estetico e psicologico hanno iniziato a pesare molto a Gaia, che ha cominciato ad essere seguita da uno psicologo. Come genitori le abbiamo sempre trasmesso il fatto che la malattia non dovesse essere vista come invalidante, ma come una diversità che l'avrebbe accompagnata nella sua crescita».

Cosa l'ha spinta ad entrare nell'Associazione "ll Volo"?
«La volontà di poter condividere l'esperienza della malattia con altre persone che, come me, si trovavano ad affrontarla e a gestirla. C'è sempre stato un grande supporto da parte dei medici reumatologi e pediatri che hanno ben accettato la creazione di questa associazione come sinergia tra pazienti, famiglie e medici. Il presidente è il dottor Moreno Stecca. Negli anni siamo anche riusciti a fare dei corsi di aggiornamento per i medici pediatri affinché si possano riconoscere le malattie reumatiche nei sintomi dei bambini, per iniziare le cure il prima possibile. Attraverso il progetto RheumaHelp, abbiamo finanziato uno psicologo che possa seguire i pazienti e le famiglie».

Quali sono le sue speranze per le nuove ricerche e i consigli alle famiglie?
«La speranza più grande è riposta nei medici che ci seguono: sono loro che fanno la differenza e la fanno, in primis, credendoci. Negli ultimi due anni abbiamo contribuito ad una ricerca sulla sclerodermia con l'Istituto di Ricerca Pediatrica nella Torre di Ricerca di Padova. Alle nuove famiglie consiglio di prestare attenzione e creare un gruppo all'interno della famiglia. Credere nelle associazioni come la nostra, perché danno un supporto concreto affinché la malattia non sia più un limite ma diventi un motivo per accogliere la diversità come un'opportunità di crescita».
 

Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre, 09:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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