«Chicchi di grandine così grandi? Fenomeno sempre più frequente. I fulmini a ciel sereno non devono sorprendere»

Francesco Domenichini, responsabile della meteorologia nella sede di Teolo, spiega come si formano i chicchi di giaccio

Venerdì 21 Luglio 2023 di Angela Pederiva
Auto devastata dalla grandine nel Trevigiano

È il contrappasso del meteo. Gli esperti dell’Arpav lo spiegano così. Nella terza settimana di luglio, un promontorio anticiclonico di origine africana ha portato sul Veneto un significativo aumento delle temperature e dell’umidità. Nel momento in cui l’anticiclone si è affievolito, l’infiltrazione di aria un po’ più fresca in alta quota ha determinato condizioni di instabilità, che martedì sono esplose nel Bellunese e mercoledì nel resto del Veneto, dal Vicentino al Veneziano passando per il Trevigiano e il Padovano. «Parliamo di una fenomenologia convettiva, cioè di temporali con vento, grandine, fulmini e rovesci intensi», dice Francesco Domenichini, responsabile della meteorologia nella sede di Teolo.


Nel giro davvero di pochi minuti si passa dal “bello” al “brutto”, anzi al “bruttissimo”: cosa succede? 
«È la caratteristica saliente della fenomenologia convettiva: un fulmine a ciel sereno.

Può sembrare un gioco di parole, ma è proprio così. Anche se magari il cielo rimane azzurro, per cui il cambiamento non è visibile ad occhio nudo, nell’aria avviene un contrasto di temperatura freddo-caldo fra gli alti e i bassi strati. Quindi è normale che temporali anche intensi scoppino di punto in bianco o arrivino con grande velocità. Semmai notiamo un incremento dell’insistenza e della reiterazione in alcuni giorni dell’estate piuttosto che in altri. Ma per noi che siamo abituati a studiare questi eventi, non accade nulla di particolare».


Chi non è del settore rimane invece molto impressionato. Per esempio in questo periodo si parla molto di “downburst”, come nel caso di martedì fra Comelico, Agordino e Cadore. È un fenomeno meteorologicamente nuovo, o è solo più visibile che in passato? 
«È un fenomeno che colpisce l’opinione pubblica, perché ha effetti molto significativi in particolare nelle casistiche di “microburst”, che è una versione ancora più concentrata. Per dirla in termini molto semplici, sono venti di ricaduta molto intensi di aria fredda che fuoriesce dai temporali. Il fatto che l’espressione ora sia diventata di uso comune, dipende dalla circostanza che la materia è stata analizzata più a fondo e quindi riportata dagli organi di informazione. Ma di per sé il “downburst” esiste da sempre, in quanto fenomeno fisiologico della vita delle celle temporalesche. È chiaro però che, quando questo fenomeno è associato a situazioni così importanti, si notano molto di più i suoi effetti al suolo rispetto al temporale per così dire normale, come si può facilmente capire osservando il video circolato in questi giorni che mostra gli alberi cadere come fuscelli. Bisogna poi tenere presente che un temporale molto intenso produce venti di ricaduta esponenzialmente ancora più forti». 


Come si spiegano gli eventi a macchia di leopardo, per cui in un paese avviene il disastro, mentre nella località accanto non accade nulla? 
«Anche questo è fisiologico, nel senso che rientra nella natura dei fenomeni temporaleschi. Queste differenze sono vistose con la grandine: le strisce possono estendersi anche per chilometri in lunghezza, ma in larghezza sono molto più sottili, nell’ordine di qualche centinaio di metri». 


Ma allora ci sono relazioni fra quello che è successo martedì nel Bellunese e mercoledì nel resto del Veneto?
«Si tratta della stessa identica fenomenologia, che però prima irrompe nell’area alpina e poi sprofonda nella pianura padana, anche in giorni successivi come in effetti è avvenuto questa settimana. Ad essere diversi sono piuttosto gli effetti. Per esempio la montagna è caratterizzata da versanti maggiormente esposti al vento e da boschi di conifere che resistono meno, per cui in quota è più facile un “downburst”, mentre in pianura è più probabile la grandine».


A questo proposito, sorprendono le dimensioni del ghiaccio: sempre più spesso non si vedono chicchi, bensì palle. Com’è possibile?
«Quello che si è registrato mercoledì, va messo in relazione con quanto si è verificato dal 13 al 18 luglio. Per cinque-sei giorni le correnti umide sud-occidentali hanno invaso la pianura padana portando molta umidità. Questo fenomeno, unito alle alte temperature dell’anticiclone, ha formato una grande quantità di quello che noi tecnici definiamo “carburante convettivo”. Questa è la spiegazione scientifica, per cui non dobbiamo stupirci. Dopodiché da alcuni studi di meteorologia e climatologia, non ancora conclusivi ma già piuttosto indicativi, risulta che nel corso degli anni c’è stato un lieve incremento della frequenza della cosiddetta “large hail”, cioè della grandine di diametro superiore ai 5 centimetri. Dunque lo osserviamo più spesso».


In questi giorni è stato pubblicato il rapporto “Clima in Italia nel 2022”, promosso dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente anche grazie al contributo dell’Arpav, secondo cui l’anno scorso ha evidenziato livelli record di caldo e siccità. A metà 2023 assistiamo a questi cambi repentini con danni pesanti. Cosa si può rispondere a chi nega il cambiamento climatico?
«Stiamo ai dati. Il riscaldamento globale è confermato anche dalle stazioni Arpa del Veneto, che negli ultimi trent’anni hanno rilevato un incremento della temperatura di circa 1,5 gradi (0,55 per decennio, ndr.). Questo fatto è correlabile direttamente alla maggiore possibilità di avere una fenomenologia convettiva intensa: in pratica d’estate è afa nutriente per forti temporali». 
 

Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 08:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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