Mogol: «Le canzoni sono sempre più essenziali, servono regole per il mondo digitale»

Sabato 29 Febbraio 2020 di Gianpaolo Bonzio
Giulio Rapetti, in arte Mogol a Venezia
VENEZIA Era arrivato a Venezia, poco prima di Natale, per presentare un’iniziativa di solidarietà a favore dei librai seriamente danneggiati dall’alta marea di novembre. In quella occasione Giulio Rapetti, in arte Mogol, nella sua veste di presidente della Siae oltre a consegnare gli assegni per valore complessivo di 213.915 euro, aveva anche parlato della sua scuola Cet, il Centro europeo di Toscolano, che dal 1992 si occupa di dare un sostegno ai giovani musicisti. Un progetto che, sviluppatosi in Umbria, continua a fornire gli strumenti e le opportunità a tanti esordienti e che si avvale della presenza, oltre che dello stesso Mogol, anche di celebri compositori del calibro di Giorgio Lavezzi.

Mogol, che bilancio fate della vostra scuola di musica Cet?
«Abbiamo raccolto sempre materiale straordinario. Attraverso questa iniziativa abbiamo dato la possibilità di esprimersi a circa tremila giovani compositori ed autori. Insomma, un’esperienza positiva destinata ad allargarsi».

Che idea si è fatto della situazione musicale italiana? Che brani ascolta quando è a casa?
«Io tendenzialmente ascolto rock, ma direi che in linea generale ci sono buone canzoni in ogni settore. E resta sempre la distinzione tra buona e cattiva musica».

E a livello internazionale?
«Beh, direi che un musicista come Ed Sheeran ha di fatto dato vita ad una nuova moda. Il contesto in questi anni è cambiato anche perchè non ci sono più le grandi orchestre. Ora il pubblico vuole avere un rapporto più vicino e diretto con il cantautore. Così, nel corso degli anni, la proposta musicale si è modificata fino ad arrivare ad una scenario in cui c’è il singolo cantante con uno strumento oppure ci sono piccoli gruppi. In ogni caso lo spazio dato all’interprete vero e proprio è aumentato. Forse si tratta anche di una sorta di ritorno al passato, visto che accadeva anche ai miei tempi»

Ed esempio?
«Se penso agli anni trascorsi con Lucio Battisti mi viene in mente una canzone molto semplice che ha avuto un buon successo. Mi riferisco a “Anche per te” che è strutturata praticamente con il solo cantante accompagnato dal pianoforte». 

Una dimensione più intima e colloquiale?
«Sì, il testo e le parole hanno di fatto riconquistato un ruolo decisivo rispetto all’aspetto più marcatamente ritmico. C’è stata una forte semplificazione del linguaggio».
Quando parla del ridimensionamento delle orchestre si riferisce anche al jazz?
«Mi sembra che il jazz derivi dal pop. Spesso il jazz ha semplicemente riletto, in modo differente, molte canzoni che avevano una matrice pop. Quella improvvisazione nasce da quel contesto. Un sorta di rielaborazione su basi strumentali che nasce dalle canzoni pop».

Che vantaggi hanno portato le piattaforme online?
«La musica online è una grande opportunità per gli autori, perché le loro opere possano essere ascoltate, conosciute e amate da tutti e in qualunque luogo. Quando alla mezzanotte dello scorso 29 settembre sono andati online i brani miei e di Lucio Battisti, ho pensato che fosse una bella notizia soprattutto per i giovani. Quei brani, come tutta la tradizione della canzone d’autore italiana, rappresentano un grande patrimonio. Le canzoni sono un elemento importante della cultura popolare, e tenere viva la memoria è fondamentale, è il motore dell’evoluzione dei popoli. Oggi il canto è “libero”, ma il lavoro di chi crea continuerà ad essere libero soltanto se adeguatamente protetto».
Cosa ne pensano gli autori di questo scenario?
«Il nuovo mondo digitale va regolamentato a dovere e deve essere riconosciuta la giusta remunerazione ai compositori. Le statistiche ci informano che la fruizione delle opere creative avviene sempre più attraverso le piattaforme online. Questa rivoluzione di usi e consumi per le multinazionali del web vale profitti enormi, anche grazie alle opere di tantissimi autori che hanno il diritto di essere adeguatamente ricompensati per il loro lavoro. Commentando i dati sulla raccolta del diritto d’autore ho sostenuto che il digitale corre veloce, ma per andare lontano serve la Direttiva Copyright. In pratica una legge, di cui attendiamo il recepimento in Italia, che sancisce principi e diritti per i quali Siae si è sempre battuta e lo farà anche in futuro».
 
 
Ultimo aggiornamento: 14:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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