Marcello, Rohrwacher e Munzi La gioventù italiana a Cannes

Martedì 13 Luglio 2021
Marcello, Rohrwacher e Munzi La gioventù italiana a Cannes
CINEMA
Chissà, chissà domani su che cosa metteremo le mani e se è una femmina si chiamerà Futura... Forse è anche perché Pietro Marcello stava davvero lavorando a un film su Lucio Dalla che il documentario sulla gioventù italiana si chiama Futura e non futuro, ma insomma alla fine poco importa, si parla di ragazzi e di quello che li aspetta. Futura è un lavoro collettivo di tre registi italiani: oltre a Marcello, ci sono anche Alice Rohrwacher e Francesco Munzi, che adesso stanno a Cannes con il loro film, passato ieri alla Quinzane, un materiale complesso e al tempo stesso semplice raccolto attraverso un viaggio dalle Alpi alla Sicilia, con lo scopo di costruire un archivio attuale degli adolescenti italiani. Un po' ricorda i lavori di Soldati e Comencini, forse a qualcuno soprattutto i comizi d'amore di Pasolini, forse è un po' tutto questo e forse è qualcosa di diverso da tutto questo. Insomma, che cos'è? I tre registi lo spiegano, alternandosi, un po' come avviene nel film: «Ci siamo incontrati alla fine del 2019, volevamo raccontare il Paese attraverso gli adolescenti, la voglia era di dare voce a una generazione. Poi la pandemia è entrata nel film stesso e anche questo ha contribuito a capire aspettative, speranze. In realtà non siamo partiti da Pasolini, che fece una lavoro verticale e non orizzontale come noi, non volevamo interagire né scendere in profondità. Il nostro scopo era un laboratorio, un archivio dell'immaginario, raccogliere invece che portare, non un film a tesi, ma lo spirito di un'epoca, una scelta insomma ben precisa».
ANCHE VENEZIA
Il film segue un itinerario lungo la Penisola, compreso il Nordest, specialmente Venezia, con la sua realtà unica. I ragazzi hanno sogni a volte semplici, specialmente i maschi, per lo più desiderosi di fare i calciatori. A tutti e tutte è la voglia di avere un domani economicamente agiato: «Abbiamo cercato una varietà di ragazzi, non abbiamo escluso classi sociali a priori, anche se forse qui di ricchi e ricchissimi non ce ne sono. Ma non è stato un lavoro scientifico, solo non volevamo scelte estreme. Abbiamo lavorato sui gruppi, perché le aggregazioni aiutano a far esprimere i singoli».
LA GIUSTA DISTANZA
Alla fine del percorso, viene sempre da chiedersi che generazione esce: «Difficile a dirsi. Uno parte con un'idea sui giovani e poi capisce che è tutt'altra. I ragazzi sembrano più liberi, guardano al futuro con meno mistero di noi quando avevamo la loro età. Hanno un'ampia libertà, eppure sono forse più condizionati. Abbiamo lavorato in pellicola, per creare una certa distanza e farli uscire dalla loro quotidianità. Oggi i ragazzi con il digitale si raccontano da soli, attraverso foto, video e quant'altro. Il film dimostra ancora la potenza del cinema, un cinema che può raccontare ancora davvero la vita. Ma è un mezzo potente, che può fare violenza. Noi abbiamo cercato di tenere una giusta distanza». Per avvicinare il futuro.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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