LA STORIA
Il viso lungo di un camoscio, le stesse zampe forti, il fisico asciutto

Domenica 15 Aprile 2018
LA STORIA Il viso lungo di un camoscio, le stesse zampe forti, il fisico asciutto
LA STORIA
Il viso lungo di un camoscio, le stesse zampe forti, il fisico asciutto di chi lo mena da quarant'anni a sfidare il verticale. A Cencenighe, nell'Agordino, in una delle pieghe del bellunese, chiunque conosce Ilio De Biasio di Pradimezzo. Chiunque sa chi sia, anzi chi fosse, quell'uomo buono e alpinista eccezionale. Lo conoscono la moglie Marinella e il figlio Andy, lo conoscono gli amici di una vita e mille vie, lo conoscono le cime che da sempre vegliano su quel grumo di case, tra cui la sua. Se l'eco di Ilio non si è spinto oltre i borai, le gole delle Pale di San Lucano, è perché Ilio non alzava mai la voce. Uomo silenzioso nel teatro del silenzio, Ilio scalava per amore, non per conquista. E se la sua storia raramente ha valicato i monti dell'Agordino è anche perché le Pale, suvvia cosa vuoi che siano le Pale di San Lucano? La bozza di quelle di San Martino, la palestra del Civetta, il giro-scala di Marmolada, Tofane e Sella. Forse, o forse no. Anzi, proprio no. Le Pale di San Lucano, il loro dorso, i loro fianchi, il loro inguine sono dannatamente alti, viscidi e scomodi. La Pale di San Lucano, poi, sono la storia di Ilio De Biasio.
LA MONTAGNA DI ILIO
Una storia che ora, oggi, è un film. Un documentario, La montagna di Ilio, innescato da un'intervista che rilasciò a Teddy Soppelsa, fondatore di altitudini.it. Attorno alla quale due registi, la bellunese Francesca Zanonni e il marchigiano Michele Coppari, hanno raccolto, montato e cucito la sua vita. L'idea, lo spunto, l'intervista e poi il soggetto scritto di nuovo con il contributo di Soppelsa sono diventati l'ago che è entrato e uscito tra le trame di una vita tra Cencenighe e la Libia, il chiodo da roccia piantato sullo Spiz di Meodì e la Terza Pala, la corda tra la vita di Ilio e la vita di Ettore. Lui, Ettore, secondo di tre. Poi c'è Silvio, il più giovane. Tre fratelli di paese e di croda. Ilio è il primo, insieme a papà Augusto, a schizzare oltre i prati, dove manco l'erba s'avventura, per stanare un camoscio, guadagnare dieci metri d'orizzonte e far conoscenza con la vertigine. È in quegli anni, a cavallo dei '60, che i due fratelli iniziano ad alzare il mento e fissare l'alto. È lì che inizia a ficcarsi tra i loro occhi il desiderio di raggiungerlo, quel lassù. E a Cencenighe lassù sono le Pale di San Lucano.
GIUGNO 1979
Cima orientale dell'Ambusogn, o Spiz di Meodì, come lo chiamano loro. Poi via Ciambe, nel cuore del groviglio, e la primavera successiva la severa Terza Pala. Ilio, Ettore, Silvio, Giacomo, Franco, Sandro, Mackenzie i cencenighesi li trovi solo se alzi gli occhi al cielo e provi a capire se la montagna si stia muovendo. Se lo sta facendo, se qualcosa lassù si muove, sono loro. In pochi anni, i primi degli anni '80, insieme anche al Mass, Lorenzo Massarotto, aprono oltre 50 vie. Una dietro l'altra, accatastate come la legna, in ordine, documentate, battezzate. Tutte là, sempre là, sulle Pale. E quasi sempre con Ilio davanti.
Solo il lavoro in Libia rapisce per una manciata di mesi Ilio alle Pale. Dalla roccia alla roccia che fu, la sabbia, il deserto. Difficile e dovuto, con il pensiero fisso a casa. La stessa identica fatica libica che una dozzina d'anni prima aveva regalato a papà Augusto la Fiat 850 color crema, unico abitacolo capace di contenere i bambini. Poi fuori, di nuovo, liberi. Bambini, ragazzi o adulti la differenza è minima, tuttalpiù centimetri di tibie guadagnati. Ilio torna e torna lassù, dalla sabbia alla roccia. Le salite riprendono, le vie si aggiungono, i rapporti si stringono, con la forza di un abbraccio sciolto solo dalle lacrime compiuta l'ennesima madornale fatica fraterna.
IL 9 APRILE
Poi come una frustata, impreparati come una giornata d'inverno che irrompe ad agosto, arriva il 9 aprile. Difficile ma non impossibile, è la montagna. Monte Pavione, un passeggiata e una folata di vento. Ilio scivola e la montagna non lo grazia. Non grazia quel suo corteggiatore educato, quel camoscio silenzioso che mille volte le ha chiesto permesso e riparo. D'altronde per vincere la gravità qualcuno deve mettertela a disposizione. Ognuno fa il suo. Ilio De Biasio muore il 9 aprile 2014 sulle Vette Feltrine. Almeno non lì, sulle Pale. Un po' più in là, sopra Sovramonte, tra quelle stesse Dolomiti bellunesi.
Ma a inizio maggio la storia di Ilio valicherà una valle ancora. Una più in là, dopo le Pale e dopo il Pavione. La montagna di Ilio, il suo film, il film di Francesca Zannoni e Michele Coppari, è stato infatti selezionato per la 66. edizione del Trento Film Festival, sezione Alp&Ism (www.trentofestival.it). I quarantadue minuti di una vita intera, perennemente aggrappati e in bilico, ma perfettamente in equilibrio tra ricordo e racconto, saranno protagonisti di due proiezioni il 3 e il 5 maggio.
ORA TRENTO
Due volte il grande schermo per un documentario che ha saputo farsi montanaro, emotivo ed emozionante, ma discreto. L'anno e mezzo di lavoro immersi nell'Archivio De Biasio, a tu per tu con Ettore e Silvio, Giacomo e Andy, le Pale e Cencenighe, si aprirà così su un pubblico che conosce quelle fatiche, quel rispetto e pure quei finali d'alta montagna che Hollywood taglierebbe di netto per far posto a un happy end che lisci il pubblico. Ma non questa volta. Questa volta la storia è finita lì e può continuare soltanto grazie a quel che ha innescato finendo. Può continuare negli occhi di chi saprà osservarla, custodita dal buio in sala de La montagna di Ilio, o tra le pagine di quel piccolo capolavoro dell'editoria di montagna che è Le Pale di San Lucano, di Ettore De Biasio. E di suo fratello Ilio.
Alessandro De Bon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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