Mettiamola così: Matteo Salvini non chiama la crisi di governo perché

Sabato 20 Luglio 2019
Mettiamola così: Matteo Salvini non chiama la crisi di governo perché teme che ne nasca un altro senza di lui. È uno dei pochissimi a pensarla così, ma poiché toccherebbe a lui andare dal presidente della Repubblica, ha deciso ancora una volta di non andarci e di provare a chiarirsi di nuovo con Di Maio.
In Parlamento soltanto la Lega e Fratelli d'Italia guardano senza timore alle elezioni. Sarebbero i soli ad uscirne rafforzati, sia pure in maniera ovviamente diversa. Deputati e senatori dei 5 Stelle e di Forza Italia riempiono le chiese intorno a Montecitorio per novene come non se ne vedevano da quando i Lanzichenecchi al soldo di Carlo d'Asburgo si apprestavano all'ultimo Sacco di Roma (1527). Entrambi i partiti uscirebbero decimati dalle urne e non tutti hanno una professione redditizia pronta a riaccoglierli. Nemmeno il Pd vuole le elezioni. Zingaretti perché non ha ancora completato la riorganizzazione del partito. E Renzi difficilmente riporterebbe alle Camere gli stessi parlamentari che ha oggi e che gli consentono di controllare il gruppo al Senato. Non a caso Maria Elena Boschi, che gli è rimasta fedele usque ad lapidem, ha presentato una mozione di sfiducia contro Salvini che è un modo infallibile per blindare il governo.
Ma davvero è possibile un governo alternativo a quello guidato da Giuseppe Conte? Prima di sciogliere le Camere, il capo dello Stato ha il dovere costituzionale di verificare l'esistenza di una maggioranza alternativa. La fantascienza politica prevede in questo caso la sostituzione di Luigi Di Maio con Roberto Fico e un governo sostenuto in maniera decisiva dal Pd. Si immagina perfino un contributo di Forza Italia a un gabinetto di salvezza nazionale. Ma si tratta appunto di fantascienza. Un dopodomani Renzi sarebbe forse pronto a fare lui un governo con i 5 Stelle, ma non consentirebbe mai a Zingaretti di farlo. E Zingaretti non ha alcun interesse a mettere la testa sul ceppo di una maggioranza poggiata su una discarica di insulti reciproci con i grillini, costanti da almeno sei anni. Senza parlare di Forza Italia che taglierebbe per sempre ogni ponte con la Lega.
La verità è che i Cinque Stelle stanno facendo di tutto per evitare la crisi e sono pronti a un corposo rimpasto. Naturalmente si tratta di voci smentibili in un nanosecondo. Ma per la prima volta si parla di un leghista al posto di Toninelli alle Infrastrutture e perfino di un leghista al Lavoro, cedibile da un Di Maio che ha già il peso fortissimo dello Sviluppo economico. I grillini darebbero volentieri alla Lega il ministero dell'Economia: ma il posto di Tria è uno di quelli nella disponibilità diretta del capo dello Stato e perciò non se ne parla. La Lega comunque non lo vuole e non c'è bisogno di spiegarne le ragioni. Salvini ha capito che se non controlla alcuni ministeri chiave i malintesi non cesseranno mai e lo stesso Di Maio sa che liberarsi di alcuni pesi può solo giovargli.
Resta il problema del commissario a Bruxelles. L'Italia è il terzo paese dell'Unione (su 27) e sarebbe pazzesco non avere un portafoglio pesante. Ma dopo il voto negativo della Lega alla presidente Van der Leyen un leghista a 24 carati correrebbe il rischio di una bocciatura. Perciò Giorgetti si è ritirato e si muove inquieto dentro un palazzo Chigi che gli sembra ormai una gabbia.
Salvini dovrà perciò proporre un nome più neutro e tra i tanti che se ne fanno il meno indigeribile per la Lega sarebbe quello di Domenico Siniscalco: economista di valore e di vasta esperienza internazionale, ministro tecnico dell'Economia nel governo Berlusconi. Ma anche qui si tratta di fragili ipotesi. L'importante è decidere presto e dare ai mercati che ieri hanno punito pesantemente l'Italia - finalmente un segno di chiarezza e di stabilità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci