«Finale aperto per cambiare Porto Marghera»

Domenica 19 Maggio 2019
La chimica è una strana creatura, «spacchi il sale e ne ottieni due elementi aggressivi, pericolosi. Ne unisci due violenti, selvaggi e ci ricavi l'acqua, la vita». A Porto Marghera la chimica era la vita, solida, potente e innovativa, ma nello stesso tempo rischiosa e infida, a volte letale. Gianfranco Bettin torna a quel mondo «magico e spaventoso» che conosce sin da bambino, luogo cruciale per un territorio e per generazioni di persone, e lo osserva dall'alto di una torre dove si è arrampicato un uomo in rivolta. Ed è proprio da lassù, tra le ciminiere che sfiatano il cracking, che Bettin immagina «un cambio di stato» per altri scenari. Nuovi finali. Duri i banchi direbbero i Pitura Freska, o forse no retreat baby, no surrender (Springsteen). Non è un caso, allora, che lo scrittore, saggista e politico veneziano abbia intitolato Cracking il suo nuovo romanzo (Mondadori Strade blu), emozionante viaggio nella Porto Marghera che fu e che ora è, osservata nello sguardo di un 63enne, Celeste Vanni, pronto ad arrampicarsi sulla ciminiera più alta per sostenere i compagni, «ancora i miei compagni» cui «stanno rubando il lavoro. E la dignità».
Tema importante, questo, tanto più oggi che si parla molto di lavoro e dignità.
«Volevo parlare del lavoro oggi dentro l'industria. Mi sembra che quello che succede meriti di essere raccontato».
Un operaio che sale sulla torre. È accaduto realmente.
«Sì, episodi simili sono accaduti. Quello che mi colpiva era la solitudine indomita di molti lavoratori, che si trovavano in un mondo frantumato, spesso isolati. Individui che però non erano vinti, e che volevano comunque testimoniare la loro dignità e la loro ribellione alla mancanza di una politica industriale. A Porto Marghera la gloriosa vicenda dell'industria chimica, anche con i suoi lati di tragedia, è stata svenduta sull'altare della speculazione finanziaria».
Il titolo del suo libro è indicativo. Cracking: indica una trasformazione, «un cambio di stato e un alleggerimento».
«È quello che si augura il mio protagonista: ci vorrebbe un cambio di stato per questo luogo. Per far si che gli elementi si ricombinino in modo più giusto».
Un processo chimico insomma.
«Porto Marghera, capitale della chimica innovativa, è stato il primo territorio di caccia degli speculatori finanziari, che si sono conquistati l'economia reale indebolendo il paese e i poli industriali».
Un mondo che muore.
«Sono arrivati i nuovi dirigenti, gente slegata dalla fabbrica. Il mio protagonista ricorda le sue vecchie controparti, persone leali con cui ci si confrontava anche duramente, ma che conoscevano la fabbrica. Poi sono subentrati gli uomini delle nuove proprietà finanziarie, che si limitano a chiudere reparti per far quadrare i conti. L'Italia ha dato la chimica in mano a questa gente, rinunciando a una politica industriale. Perché è rimasta solo la chimica vecchia? Perché si è rinunciato a investire nella chimica innovativa».
Il suo romanzo tocca il tema delle mancate bonifiche.
«Dopo il biocidio, ecco la truffa ulteriore che richiama la parte più infame dell'indagine sul Mose. Dove i soldi derivanti dai processi del Petrolchimico o dalle aziende che dovevano risanare sono finiti in speculazioni o tangenti, senza ovviamente ripulire il terreno».
La classe operaia è in paradiso?
«No, non è morta, è spiazzata dai processi di ristrutturazione. Il mio protagonista vede i compagni soffrire, ma sono vivi. Il suo gesto innesca una reazione».
Marghera è viva, c'è il poeta Brugnaro, c'è la parete di roccia sul muro della chiesa del Cristo Lavoratore, ci sono palestre, campi da calcio e da basket, i Giants, il Vapore, il centro Rivolta...
«Volevo raccontare la Marghera vitale, fatta di musicisti, poeti, di locali, di gente che si incontra, che ride e racconta le sue storie. Lo scanzonato cinismo (ti xe ncora vivo?) malgrado la durezza del luogo».
Le donne intravedono l'altra chance: la svolta verde.
«La chimica verde è l'unica chance. Un investimento. L'Eni lo ha recentemente annunciato. Questo porta la chimica nel XXI secolo, dando un futuro. Ed è la prima volta che se ne parla».
Un lieto fine, come si ipotizza nel romanzo?
«No, finale aperto. Celeste riapre una trattativa, ma non si sa che accadrà. Come nella chimica» .
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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