Camuffo, dinastia sul mare

Giovedì 6 Agosto 2020
Camuffo, dinastia sul mare
LA STORIA
Tutto era cominciato nella veneziana Candia nel 1438 e finirà a Portogruaro quando il destino vorrà: dopo diciannove generazioni la storia del cantiere più antico del mondo sta per finire. L'ultimo erede, Giacomo Camuffo, ha 86 anni, suo fratello Marco è scomparso da poco, lo scorso luglio, a 88 anni. Non ci sono eredi, qualora nessuno rilevi l'attività, si rischia di mettere fine alla costruzione degli yacht, rigorosamente di legno, così belli, così perfetti, e dalle prestazioni tanto elevate, da esser stati definiti gli Stradivari del mare.
Aveva cominciato El Ham Muftì, detto Camuffi, che impostava le barche nella grande isola mediterranea di Creta e da oltre due secoli (nonché per altri due ancora) possedimento dei veneziani che le chiamavano Candia. Il nome di suo figlio, Petrus Cristianus quandam Camuffi, indica che si era convertito al cristianesimo e dopo la caduta di Costantinopoli in mano turca (1453) aveva ritenuto più prudente allontanarsi dall'Egeo. Nel 1470 troviamo Nicolò Camuffo a Chioggia. Generazione dopo generazione, i Camuffo allargano la loro attività e legano il nome della famiglia a tutti gli eventi navali che vedono protagonista Venezia. Costruiscono barche a vela e a remi, si imbarcano come arsenalotti nel naviglio da guerra, si espandono a Padova e a Portogruaro. La cittadina sul fiume Lèmene, attuale sede del cantiere Camuffo, nell'Ottocento diventa baricentrica tra l'ormai ex Serenissima e l'austriaca Trieste, porto in cui Vienna investe grandi quantità di risorse.
UNA DINASTIA ANTICA
Francesco Luigi, tagliato fuori dall'eredità del cantiere chioggiotto, vi si trasferisce nel 1840. È l'epoca in cui la famiglia Camuffo possiede otto cantieri e un centinaio di case (Chioggia chiuderà nel 1974, qualche tempo prima anche Padova aveva cessato l'attività). Un punto di svolta è il 1912 quando Luigi, padre dell'attuale titolare, durante il servizio militare lavora sui Mas, le veloci imbarcazioni siluranti della Marina italiana. Capisce le potenzialità della propulsione meccanica e, tornato alla vita civile, si dedicherà alle barche a motore. La sua sfida era costruire barche piccole con motori grandi in grado di sviluppare il massimo della velocità possibile. Quelle conoscenze acquisite sui Mas stanno alla base degli yacht odierni dei Camuffo. Marco Camuffo che nella sua vita ha costruito oltre cinquecento barche non ha mai tradito il legno. Alla fine degli anni Cinquanta è passato dal fasciame al compensato.
DALLE BARCHE AGLI YACHT
Oggi la fiancata di diciotto metri degli yacht Camuffo è ricavata da un unico pezzo di superlamellare corazzato marino. Il ponte è fatto con tek alto 14 millimetri, «gli scafi in ferro hanno una vita massima di vent'anni, poi arrugginiscono, le nostre barche dopo vent'anni cominciano a vivere, basta riverniciarle e tornano nuove», precisa Giacomo Camuffo. Nessuna barca a motore del mondo è in grado di raggiungere l'autonomia e le prestazioni di una Camuffo: i consumi sono ridotti di oltre la metà, si può andare da Venezia a Santa Maria di Leuca senza bisogno di far rifornimento e in sala macchine dove peraltro si sta in piedi la temperatura si alza di un solo grado rispetto all'esterno. Gli interni sono lussuosissimi: in mogano, e completamente smontabili, in modo da poter raggiungere qualsiasi parte dello scafo.
IL PROFUMO DEL LEGNO
Gli Stradivari del mare rimangono yacht unici e inimitabili. Una barca Camuffo è riconoscibile all'olfatto: l'interno profuma di legno e di cera, non si sente alcun odore di collante o solvente, come accade nelle imbarcazione di vetroresina. Gli arredi sono tutti completamente smontabili, fatti di legno massello (un tavolino, per esempio, è ricavato scavando una tavola spessa, e non incollando la cornice al più sottile piano di appoggio), non c'è plastica, se non nelle parti elettriche e nella dotazioni nautiche che la richiedono. Arrivato a questa veneranda età, l'ultimo rampollo di una dinastia che con lui terminerà, Giacomo Camuffo si può permettere atteggiamenti che sembrerebbero un po' folli. Non è che se avete due milioni di euro intasca andate da loro e vi vendono lo yacht. No, dovete dimostrare di meritarla, quella barca. Un commento superficiale sulla qualità del lavoro, degli arredi, delle dotazioni, causa la subitanea cacciata del potenziale cliente. Qualche tempo, Marco era ancora vivo, fa si era fatto sotto un tale che voleva acquisire il marchio.
LE DIFFICOLTÀ
Contenti i fratelli Camuffo perché il loro nome non sarebbe scomparso con loro? Macché. Hanno chiesto all'aspirante compratore: «Ma lei è in grado di garantire seicento anni di continuità, senza alcun fallimento, com'è stato nei passati sei secoli?». La risposte, ovviamente, non poteva che essere negativa come poteva garantire quel che accadrà tra cento anni? Ma anche tra pochi mesi, vista l'esperienza del Covid-19. Comunque non se n'è fatto nulla, il marchio è rimasto in casa. I clienti degli yacht Camuffo nel passato erano soprattutto tedeschi e austriaci; negli anni Novanta in prevalenza meridionali, napoletani in particolare; nei primi anni Duemila l'asse si era spostato sul Nordest, sulle ricche province di Pordenone e Treviso. Poi sono arrivate la crisi e la calma piatta, tanto per usare un termine marinaro. Sono anni che non si costruiscono più barche nuove, ce ne sono tre pronte nel capannone di Portogruaro, una era venduta, ma al cliente è venuto un coccolone ed è rimasta lì.
LA CRISI
Giacomo precisa che gli è pure capitato in più occasioni di ricomprare proprie barche da clienti che erano falliti o avevano avuto problemi di salute e quindi si è ripreso lo yacht e ha restituito quanto il cliente aveva già versato. Ora che Marco non c'è più, vien da domandarsi chi mai potrebbe costruirle quelle barche. Era lui che le impostava e stava tutto nella sua testa. Racconta un suo operaio che non c'erano progetti, computer, niente di niente. Quando dovevano impostare una nuova barca prendevano la sagoma della ruota di prua, la appoggiavano al cantiere, ovvero la trave posta a terra che dà la lunghezza dell'imbarcazione, Marco prendeva una sedia, si piazzava in un ben determinato punto che solo a lui era chiaro, guardava gli operai e diceva loro come dovevano fissare le ordinate o occhio: «Un po' più in giù, più in giù, a sinistra, ecco va bene», dopo seicento anni, sapeva bene come si faceva. Nonostante la crisi pre Covid, Camuffo non ha licenziato nessuno. Dieci operai aveva e dieci operai ha, anche se il cantiere è semivuoto. Gente d'altri tempi, non c'è dubbio.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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