Zen insiste: «Ho sparato per difendermi»

Venerdì 21 Maggio 2021
Zen insiste: «Ho sparato per difendermi»
VEDELAGO
«Ora non so proprio cosa sarà del mio futuro». Si è preso qualche giorno libero dal lavoro Massimo Zen, la guardia giurata 49enne che mercoledì è stata condannata in primo grado - con il rito abbreviato che gli ha consentito di beneficiare dello sconto di un terzo della pena e con la concessione delle generiche - per l'omicidio volontario di Manuel Major, il giostraio di 36 anni ferito mortalmente da Zen a Barcon di Vedelago il 22 aprile del 2017 mentre fuggiva dalle auto dei carabinieri che lo braccavano dopo dei colpi ad alcune postazioni bancomat. Zen non capisce come si possa essere arrivati ad un condanna per omicidio.
LO STUPORE
«Francamente - dice - sono incredulo. Io confidavo nella giustizia, quella con la G maiuscola, e soprattutto nella verità. Ma così non è stato». La verità, secondo la guardia giurata, dipendente del gruppo Battistolli, è quella secondo cui quello che è successo è stato solo il risultato di una legittima difesa. «Ho ritenuto e ritengo anche adesso - racconta - di aver operato nel giusto. Mi sono semplicemente difeso e l'ho fatto come mi è stato possibile in quel momento. L'auto che aveva a bordo i criminali (con Manuel Major dentro ad una Bmw station vagon rubata c'erano anche Jody Garbin ed Euclide Major) ha puntato la mia, volevano speronarmi, cercavano di investirmi. Poi dall'abitacolo sono stati esplosi dei colpi di pistola e io mi sono trovato nelle condizioni di rispondere al fuoco per proteggermi. Quello che è successo è una tragedia, ma questa è la mia verità». Zen spiega poi che «non è vero che io abbia intercettato le comunicazioni di Carabinieri e comunque uno delle banche assaltate era di pertinenza, sotto il profilo della vigilanza, dell'azienda per cui lavoro. Ho visto l'auto che si avvicinava a forte velocità e ho capito che erano i banditi, per questo mi sono messo di traverso lungo la carreggiata».
L'ACCUSA
Ma è una storia che non ha retto alla prova del processo. «La macchina con dentro l'uomo ucciso - replica Fabio Crea, l'avvocato dei fratelli e del padre di Manuel Major, costituiti come parte civile e a cui il gip Piera De Stefani ha riconosciuto una provisionale immediatamente esecutiva di 180 mila euro - ha scartato quando dentro si sono accorti che la vettura di Zen stava in mezzo alla strada. La prova sta nel fatto che i colpi sono partiti di lato e infatti Manuel Major è stato centrato sotto l'orecchio». «Ghe go tirà, ghe go tirà» dice Zen in dialetto non appena ha esploso anche il terzo colpo, quello sparato da dietro alla Bmw. La guardia giurata ne parla alla radio sulle frequenze dei carabinieri. «Hanno tentato di venirmi addosso», dice concitato. «Degli spari provenienti dalla macchina di Major - continua Crea - non c'è traccia, Zen non ne parla. Ma subito dopo i fatti Cancarello (il collega di Zen rinviato a giudizio per favoreggiamento) arriva sul posto e mette la pistola giocattolo in un punto preciso, dove si ferma per 35 secondi. Alle 6 del mattino seguente è proprio lui a ritrovare l'arma, insieme ad un carabiniere, con cui va praticamente a colpo sicuro. Ma i due Major e Garbin, quella sera, erano disarmati». «La ricostruzione di Zen non tiene da nessuna parte - conclude Crea - solo il suo consulente di parte trova nella macchina residui di polvere da sparo di pistola. Il Ris dei carabinieri Parma non ne parla, dice solo che le tracce sono riconducibili ad un fucile, uno di quelli che il proprietario della macchina aveva e portava con sé andando al tiro a segno».
Denis Barea
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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