Ecco come la 'ndrangheta ha incastrato i Cenedese. Il Gip: «Non hanno adottato misure efficaci per evitare le infiltrazioni»

Lunedì 14 Febbraio 2022 di Giuliano Pavan
Ecco come la 'ndrangheta ha incastrato i Cenedese
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SILEA - Si chiamano Nicola Toffanin e Domenico Mercurio. Sono due collaboratori di giustizia. È dalle loro dichiarazioni sui rapporti tra le famiglie Aloisio e Giardino che parte l'inchiesta della Dda di Milano sull'infiltrazione della ndrangheta negli appalti di manutenzione e armamento della rete ferroviaria. Famiglie, secondo gli inquirenti, legate alla cosca Nicoscia-Arena di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. E a far finire Luigi e Andrea Cenedese, padre e figlio di 69 e 39 anni, titolari del colosso dei cantieri ferroviari con sede a Silea, nell'inchiesta per una presunta associazione a delinquere di stampo mafioso sono stati proprio i rapporti con le società dei Giardino e degli Aloisio.


LA CONTESTAZIONE
Il gip di Milano Giuseppina Barbara, nel rigettare la richiesta di custodia cautelare nei confronti dei due imprenditori di Silea, sottolinea come per le ipotesi del reato associativo, dello sfruttamento di manodopera e dell'autoriciclaggio non ci siano prove a carico dei Cenedese. Ci sono però per 15 degli altri 34 indagati finiti agli arresti (tra carcere e domiciliari). Segno che, nel caso fossero stati commessi, non sarebbero comunque ascrivibili ai Cenedese, al più responsabili di aver annotato fatture emesse nei loro confronti risultate poi per operazioni inesistenti. L'inchiesta comunque è solo all'inizio. Di certo c'è che ai Cenedese può venir al massimo imputato, scrive il gip, che essendo (assieme ad altre) «società di capitale operanti tutte nel settore dell'armamento ferroviario sull'intero territorio nazionale e anche all'estero, quali destinatarie in regime di sostanziale monopolio degli appalti per i relativi lavori di manutenzione da parte di Rfi Spa, omettevano di adottare ed efficacemente attuare modelli di organizzazione e gestione idonei a evitare la commissione dei reati di associazione a delinquere, sfruttamento di manodopera e autoriciclaggio». Come dire: dovevano tenere gli occhi aperti ed evitare rapporti con personaggi poco raccomandabili e non l'hanno fatto.


IL MECCANISMO
Il meccanismo ricostruito dagli inquirenti è semplice.

Rfi bandisce una gara d'appalto alla quale partecipano le grandi società di capitale del settore. Le appaltatrici (società di secondo livello, come ad esempio la Cenedese Spa) eseguono i lavori in parte utilizzando i propri mezzi e dipendenti, in parte subappaltandoli ad altre società dotate dei requisiti di legge (ovvero inserite nella cosiddetta white list) e in parte utilizzando personale distaccato e mezzi noleggiati da altre aziende. I rapporti con queste ultime aziende (società di primo livello) non sono formalmente subappalti, ed è qui che entrano in gioco le aziende in odor di ndrangheta (come secondo gli inquirenti quelle legate alla famiglia Aloisio). A questo punto le società di primo livello emettono fatture, pagate con bonifico bancario nei confronti delle società di secondo livello per il distacco del personale e il noleggio dei mezzi. Queste le annotano nella propria contabilità e deducono il relativo costo, riducendo il reddito imponibile a fini delle imposte dirette. Il denaro ricevuto dalle emittenti in pagamento delle fatture viene poi utilizzato per pagare il personale distaccato e in parte, sostiene l'accusa, per pagare fatture per operazioni inesistenti ricevute da altre società. Il denaro viene quindi prelevato in contanti dai conti correnti di queste ultime società e restituito in nero alle società di secondo livello (cioè alle società appaltatrici di Rfi), al netto del compenso spettante ai gestori delle società emittenti le fatture per operazioni inesistenti per il fatto di essersi prestati a11'operazione di retrocessione. Questo denaro finirebbe poi per agevolare la ndrangheta e per il mantenimento economico dei detenuti e delle loro famiglie.

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