Nardi: «Giusto iniziare a chiamarlo solo Conegliano Valdobbiadene»

Mercoledì 4 Settembre 2019
Nardi: «Giusto iniziare a chiamarlo solo Conegliano Valdobbiadene»
IL DIBATTITO
«Il termine Prosecco non vi piace? Possiamo essere d'accordo. Resta il fatto che oggi il 92% dei vini prodotti nella Docg reca questo nome in etichetta. E un motivo ci sarà». Il futuro però deve iniziare a mettere mano al vocabolario. Perché se il grande ombrello del Prosecco ha fatto la fortuna del territorio, il domani dovrà definire chiaramente questo vino come Conegliano Valdobbiadene. E in mezzo? «In mezzo c'è l'oggi. In questo tempo chiediamo a tutti di fare un salto e iniziare a riferirsi a questo vino come Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. O, in alternativa Prosecco Superiore».
L'IDENTITÀ
Così Innocente Nardi, presidente della Docg risponde alle 2640 comunicazioni a tutti i soggetti della filiera produttiva dei 15 comuni della Docg inviate due settimane fa dalla Confraternita del Prosecco. «È sempre più evidente che c'è una perdita di percezione da parte del consumatore dell'identità del vino delle colline. Dobbiamo tutelare il territorio e la denominazione. Per questo chiediamo il parere circa la proposta di eliminazione del termine Prosecco Superiore dal Conegliano Valdobbiadene Docg in etichetta» propone l'associazione, in coerenza con quanto da sempre affermato. E non a torto. Una parte importante del futuro di questo vino si giocherà infatti sul modo di comunicare il bianco frizzante dei territori Unesco. Una sfida per il Consorzio. «La strada è tracciata, ma ci vorrà un decennio - riprende Nardi - si pensi solo che ad oggi il 70% dei nostri vini reca in etichetta Valdobbiadene Prosecco Superiore, il 22% Conegliano Prosecco Superiore e solo l'8% Conegliano Valdobbiadene».
IL RISCHIO
Un atto impegnativo, lasciare un brand multimilionario, il conforto e la sicurezza di un marchio che orienta oggi il mondo intero. Ma anche l'unico modo per riuscire a posizionare in una fascia di percezione e di prezzo diversa queste nobili bollicine. Anche perché il rischio di overbranding è sempre dietro l'angolo. Un caso esemplare: sulle Alpi Dinariche, una scritta rossa su cartone comune sotto il pergolato invita alla sosta. C'è scritto solo Prosek. La famiglia invita a scendere in una magnifica cantina in sasso, dove grappe e bottiglie sono in ordine perfetto. Ed ecco che dalla cambusa si stappa il pezzo migliore. È color rosso sangue e dolcissimo. «Scusi, ma questo sarebbe prosecco?». Interviene la figlia: «Sì, ci siamo inventati questa cosa perché non sapevamo come vendere questo vino liquoroso da dessert. Nessuno lo voleva. Abbiamo deciso di chiamarlo Prosecco, così adesso tutti lo comprano». Insomma, basta il nome. A promuovere un vino. O a confonderlo. Il Prosecco dinarico non è certo una raffinatezza, ma si suppone sia un caso di plagio isolato, sebbene maldestro.
LA STRADA
In un mare di italian sounding e nomi storpiati. Il prosecco Doc è un vino di qualità certificata. Ma oggi i cugini del Superiore decidono di prendere il largo anche con operazioni all'apparenza antieconomiche. «Lo predico ai nostri consociati: solo questo invece ci premierà nel futuro».
e.f.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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