Imprese e negozi stritolati dalla crisi Chiudono in 913 e il 2021 fa paura

Venerdì 22 Gennaio 2021
LA SITUAZIONE
PADOVA Il sistema ha tenuto, ma i numeri questa volta non dicono tutta la verità. Nel senso che i titolari delle imprese come capitani coraggiosi hanno timonato nel mare in tempesta, anche se non hanno venduto e i ristori hanno coperto forse l'1 per cento dei mancati ricavi. Chi ha messo in cassa integrazione i dipendenti, chi ha attinto dai propri risparmi per i mutui e le forniture. Ma le crepe ci sono, eccome. L'anno scorso è nato il 16 per cento in meno di imprese dell'anno prima. Si dirà, ci voleva coraggio. Ma è la curva delle chiusure che preoccupa. Se diciamo che ha chiuso l'1 per cento di 96mila imprese non fa affetto. Se diciamo che sono state 913, possiamo pensare alle mille famiglie dei titolari e a quelle dei dipendenti. E allora fa di più. Scomponendo il dato un terzo di queste sono negozi. Un quarto, piccole imprese. La preoccupazione è che cosa accadrà quest'anno, con i colori che non fanno ripartire il commercio, e quando ad aprile finirà il blocco dei licenziamenti.
I DATI
Secondo i dati Unioncamere-Infocamere, le imprese nate a Padova nel corso del 2020 sono state 4.463. A fronte di 4.609 cancellazioni di attività al Registro delle imprese. In particolare, rispetto al 2019 la rilevazione Movimprese segnala che le iscrizioni sono diminuite del -16,5% (pari a -883 in meno rispetto all'anno precedente). Parallelamente, le cessazioni hanno fatto segnare un calo del -4,8% (circa 230 cessazioni in meno rispetto al 2019).
A fine dicembre 2020, pertanto, lo stock complessivo delle imprese esistenti nella provincia patavina ammontava a 96.048 con una contrazione rispetto a dicembre 2019 di -913 unità (-0,9%), flessione comunque meno marcata rispetto a quanto avvenuto nello stesso periodo dell'anno precedente (-1.739 unità, -1,8%). Per stabilire l'entità degli effetti prodotti nel 2020 dalla crisi pandemica si dovrà attendere le risultanze del primo trimestre 2021. Tradizionalmente, infatti, molte comunicazioni di chiusura dell'attività arrivano al Registro delle Imprese negli ultimi giorni dell'anno e vengono statisticamente conteggiate nel nuovo.
IL DETTAGLIO
Il commercio patavino in un anno perde 309 sedi, seguito da quello dell'agricoltura e della pesca (-235), delle attività manifatturiere (-192), delle costruzioni (-134) e delle attività dei servizi di alloggio e ristorazione, colpito duramente dal lockdown, ma che al momento registra una contrazione di -77 sedi d'impresa. Sono in leggera controtendenza positiva invece i settori delle attività professionali, scientifiche e tecniche con +134 sedi d'impresa, delle attività immobiliari e quelle finanziarie e assicurative che segnano +40 sedi.
ANTONIO SANTOCONO
Il presidente della Camera di Commercio di Padova: «Nell'annus horribilis del Covid-19, nella nostra provincia sono nate meno imprese rispetto all'anno precedente e sono nate meno imprese rispetto a quante hanno, invece, purtroppo chiuso. Cessazioni che, da una prima analisi, risultano essere in numero inferiore rispetto al 2019. Un dato che potrebbe risentire, però, del fatto che il maggior numero di cancellazioni avviene nel primo trimestre dell'anno in corso. Molti si sono trovati a ripensare il proprio progetto imprenditoriale, ma non possiamo che cogliere la tenacia e la capacità di resilienza del nostro sistema di piccole e medie imprese. Ci siamo impegnati, per il 2021, a incrementare di oltre 2 milioni di euro le risorse in favore delle imprese e continueremo nel nostro incessante lavoro di assistenza, orientamento, formazione e supporto delle nostre Pmi».
PATRIZIO BERTIN
«Questo significa che da noi l'onda della crisi continua Bertin ha già toccato terra e che le imprese cominciano a chiudere i battenti, operazione che troveremo amplificata, e di gran lunga, nel conteggio del primo trimestre 2021 anche se, considerati i tempi tecnici delle comunicazioni di cessazione, solo la metà del mese di febbraio ci dirà già quanto la crisi da pandemia avrà pesato sulle attività imprenditoriali, soprattutto le più piccole».
NICOLA ROSSI
Nicola Rossi, Confesercenti: «Io credo che la pandemia economica si dovrò misurare per forza con quella sanitaria. Qualsiasi problematica, come le varianti inglese o brasiliana e la loro resistenza agli anticorpi monoclonali, saranno le discriminanti per uscire o no da questa crisi. Il nostro ufficio studi ha calcolato quanto costerebbe al commercio se la pandemia dovesse regredire ad aprile: 600 milioni per i negozi e 200 milioni per i pubblici esercizi. Significa altre 350 chiusure. Se invece si prorogasse fino a ottobre avremo 1,5 miliardi per i negozi e dai 400 ai 500 milioni per gli esrcizi. Conseguenza altre 700 chiusure».
ROBERTO BOSCHETTO
«Le imprese artigiane sono state duramente colpite. Penso alla moda o all'alimentare e ai trasporti. Ora è fondamentale la riduzione della pressione fiscale e del costo del lavoro. Serve poi una flessibiità del lavoro perché quando terminerà la cassa integrazione le aziende artigiane si troveranno davanti a una fase di incertezza.
Mauro Giacon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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