«Basta dire il nome, le altre mafie devono fare i conti con noi»

Mercoledì 1 Dicembre 2021
L'INCHIESTA
VENEZIA «Napoletani e calabresi? Loro lo sanno: finché ci sono io, qua non si mette nessuno. Quelli bisogna che vengano a parlare con me». Un boss resta sempre un boss, poco importa che la primavera della vita sia ormai un lontano ricordo. Gilberto Lolli Boatto, 80 anni, non si è fatto ammorbidire dal trascorrere degli anni: la grinta e la ferocia sono esattamente quelle di un tempo. È lui il capo incontrastato della nuova Mala del Brenta. Quella vera, questa volta, perché l'indagine dei carabinieri del Ros di Padova e della Dda di Venezia ha mostrato un'organizzazione retta dallo zoccolo duro del clan dei mestrini, corposo affluente del Brenta criminale. Boatto, ex luogotenente di Felice Maniero, era ossessionato, come scrive nell'ordinanza di custodia cautelare il gip Barbara Lancieri, dall'idea di riportare agli antichi fasti la banda. Dalle bische clandestine alle rapine, dalle estorsioni all'usura fino allo spaccio di droga: tutto per riportare liquidità nelle casse della mala per farla diventare nuovamente una potenza. E da cosa si inizia a ricostruire un impero quando non si ha più nulla? Dal nome: quello, dice Boatto a Loris Trabujo e Paolo Pattarello in una intercettazione ambientale, è rimasto e le altre organizzazioni lo conoscono e lo rispettano. Ndrangheta e Camorra chiederebbero a lui il permesso di poter iniziare degli affari a Venezia perché in laguna, di fatto, comanda lui. «Sai quante volte mi son sentito dire: Sai ho sentito voi, che te là dei Mestrini, ma cosa è là? Avete tutto voi il racket dei taxi? Del casinò? Mi raccomando, se c'è bisogno ho la gente qua e là...». La risposta? «A Venezia non si può, adesso non può mettere piede nessuno».
COCCO CINESE
Il discorso non emerge a caso. Boatto e Trabujo fondano il nuovo corso sul trasporto acqueo, di cui storicamente il Tronchetto è il core business. L'organizzazione ha provato in passato ad allargarsi estendendo i propri tentacoli anche a San Marco, ma senza successo. Il grande progetto era quello di controllare la società principale di trasporto privato, Alilaguna: «È da prendere... ha non dico tre quarti, ma metà di tutto il trasporto», ammette Trabujo, che punta a indebolire il presidente Fabio Sacco: «Andiamo a prenderlo anche ai fianchi... so che strategia si può usare». Non ce l'hanno fatta, probabilmente non ne hanno avuto il tempo. Sul Tronchetto, invece, le mani sono sempre rimaste ben salde. Ne sa qualcosa Otello Novello detto Cocco cinese (soprannome nato dai suoi caratteristici e orientaleggianti occhi a fessura), altro personaggio storico del trasporto acqueo finito a sua volta nella rete dell'organizzazione. «Se lo vedo prende uno schiaffone - dice Trabujo - voglio metterlo in ginocchio». Dal 2017, Novello pagava un pizzo di tremila euro al mese per poter lavorare al Tronchetto. Per Boatto, però, era una «mancetta» visto che per lasciare il posto a lui aveva tenuto fuori colossi criminali del calibro di camorra e ndrangheta («Tremila euro?? Gli stiamo facendo un piacere»). Morale: progressivamente il suo contributo sale fino a seimila euro al mese. Novello viene a pagare a Mestre, tra via Piave e la stazione.
LE ESTORSIONI
Ma il Cocco non è certo l'unica vittima del racket. C'è chi decide di reagire, come Giampaolo Manca, il Doge, altro ex della banda Maniero, braccio violento di faccia d'Angelo oggi pentito e scrittore: Pattarello, infatti, ha cercato per settimane di farsi dare da lui 30mila euro, lasciando continui messaggi minatori in segreteria telefonica. Manca, però, si è ribellato e si è rifiutato di pagare. Altro caso di tentata estorsione quella all'imprenditore Maurizio Magnanini, socio della Marco Polo Srl. «Al Tronchetto pagano tutti, tu sei l'unico che non paga: devi darci 20mila euro al mese», gli spiega Pattarello. Nel 2018, per convincerlo a pagare, la banda organizza una spedizione punitiva a casa sua, a Cavallino Treporti. Di sera si ritrova dei banditi armati di pistola e mazzetta che lo fanno fuggire in casa dai vicini. A questo punto, Pattarello avanza una nuova proposta: «Abbiamo deciso di venirti incontro: ci darai cinquemila euro al mese fino a dicembre». «E se non pago cosa succede?», «Ti succederà quello che è successo l'ultima volta, ma stavolta il lavoro sarà finito». Magnanini non pagherà mai, ma per sfuggire alla Mala decide di migrare a Cuba con la compagna.
«ABBIAMO SOLO IL NOME»
«Se non ti conoscono, neanche non ti pensano». Questo è il mantra di Boatto. Teoria che condivide con il nuovo alleato Trabujo, nonostante sia molto più giovane di lui (Loris ha 52 anni). «Perché noi Loris, ascolta me... ascolta me che vedo le robe meglio di altri... noi eravamo forti venticinque anni fa. Adesso sai cosa ci è rimasto? Il nome. Venticinque anni fa facevamo le robe in due minuti, ora non abbiamo più la forza. Basta solo fargli una minaccia... e va a buon fine, hai capito?»
Certo che ha capito, il concetto è decisamente semplice: la nomea della ferocia dei Mestrini va ben al di là dell'effettivo potere. Per rinverdire l'impero può essere sufficiente minacciare, la fama farà il resto, non sarà necessario andare oltre.
GLI ESECUTORI
A fare il lavoro sporco, tanto, ci sono le nuove leve. «A Marco Padovani, Festim Shemellari, Daniele Corradini e Gianfranco Sedda - scrive il gip nell'ordinanza - vengono riservati i ruoli esecutivi e violenti, sempre pronti a partecipare a rapine e ad estorsioni, dimostrando anche grande dimistichezza con le armi». Padovani è particolarmente legato a Pattarello, Shemellari invece è «uomo di fiducia di Trabujo assieme al quale commette i reati più efferati nonostante si trovi in regime di semilibertà». Metteva a segno le sue scorribande, infatti, approfittando dei permessi premio. Sedda e Corradini, infine, erano incaricati dei «reati contro il patrimonio».
Davide Tamiello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci