A Nordest ripartite due imprese su tre: «Ma non può bastare»

Mercoledì 22 Aprile 2020
I DANNI
VENEZIA Due aziende su tre in qualche modo sono ripartite, totalmente o parzialmente. Ma le ferite sono e saranno pesanti per almeno un'impresa su due. Per questo la pressione di industriali e artigiani per preparare una ripartenza immediata quando ci sarà il via libera degli scienziati è massima.
I numeri, in Veneto e Friuli Venezia Giulia, parlano chiaro. E spiegano anche perché il Mes da impiegare esclusivamente sulle emergenze sanitarie non è uno strumento utile a curare i danni del sistema produttivo italiano. Il 34,4% delle aziende venete è chiusa, il 32,64% è parzialmente chiusa mentre il 33,02% risulta attiva; il 16,5% dei dipendenti lavora attualmente tramite smart working. Per il 65,5% delle aziende il mese di marzo ha avuto effetti negativi: giudicati «severi» dal 37% e «significativi» per il 28,5%. È quanto emerge da una indagine flash rivolta alle imprese sull'impatto della pandemia in Veneto effettuata dal Centro Studi Confindustria e i cui dati sono stati rielaborati da Fondazione Nord Est. La rilevazione ha coinvolto 546 aziende venete ed è iniziata il 6 aprile per concludersi il 14 aprile 2020.
I FATTURATI
Per metà delle imprese sia il fatturato che le ore lavorate del mese di marzo 2020 (rispetto allo stesso periodo del 2019) sono calate del 30%, per un quarto delle imprese la variazione negativa di questi fattori sarà superiore al 50%; oltre l'86% delle aziende riscontra un rallentamento della domanda di beni e servizi. Tra le strategie che le imprese venete ritengono di mettere in campo - avendo come presupposto imprescindibile quello di una ripartenza che possa riportare gradualmente alla normalità - emergono: rivedere il paniere dei beni prodotti o venduti (31,9); ricalibrare i mercati di destinazione dell'export (22,8%); ricostituire il proprio magazzino (22,6%); aumentare la quota di vendite tramite e-commerce (21,4%). «Dalla rilevazione - dichiara Enrico Carraro, Presidente di Confindustria Veneto - emerge un netto clima di sfiducia e di pessimismo (con oltre il 50% delle imprese che vedono cali consistenti di fatturato), corroborato da messaggi spesso contrastanti che arrivano da più parti. In questo modo si aumenta l'incertezza, mentre vediamo che gli altri Paesi europei già stanno ripartendo. Al momento, inoltre, non si percepiscono gli effetti delle manovre poste in essere dal governo in quanto i tempi di applicazione sono inadeguati alle reali necessità. Il tema della liquidità è infatti considerato cruciale per il 30% del campione».
MENO CASI
Il Friuli Venezia Giulia, secondo uno studio elaborato dalla Fondazione Gimbe, è la Regione del Nord Italia che ha meno casi di Covid-19 per numero di abitanti ma nel contempo è la seconda regione del Paese per incidenza sul valore aggiunto del comparto industriale sospeso sul totale, il 67%, come certifica l'Istat. Lo sottolinea la presidente di Confindustria Udine, Anna Mareschi Danieli. «La nostra regione - osserva - è quella in cui i positivi crescono di meno. Allo stesso tempo a seguito della forte specializzazione in comparti industriali non essenziali per i Dpcm , arredo e cantieristica in primis, siamo la 2/a regione più penalizzata d'Italia, dopo le Marche, dalle sospensioni produttive, per valore aggiunto». Secondo Mareschi Danieli, «i numeri, ancora una volta, oltre alla logica e al buonsenso ci dicono che è tempo di riaprire le attività produttive del territorio, nel pieno rispetto della sicurezza di chi lavora». Sostanzialmente fermo è il settore Arredo, essendo ripartito da poco solo il comparto del Legno. Quest'anno in calo anche il fatturato della metalmeccanica, -17,4% e delle costruzioni, -12%. In diminuzione pure il settore alimentare e bevande, -4,8%.
E da Unioncamere del Veneto si stima che su un totale di 1,5 milioni di occupati alle dipendenze nel territorio veneto, circa 800.000 possono in teoria ripresentarsi ai cancelli (il 55% del totale).   Con le nuove richieste del Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, per la riapertura dei settori moda, servizi alla persona, edilizia privata, la quota di unità locali che sarebbe ammessa a svolgere le proprie attività salirebbe al 61,4% e quella di occupati dipendenti al lavoro al 63,4%. Questo contesto permetterebbe, rispetto al Dpcm del 10 aprile, di avere circa 77.000 unità locali in più che riaprono l'attività, a cui fanno riferimento 122.000 occupati alle dipendenze in più che teoricamente potrebbero tornare al lavoro.
Ma il domani è apiù incerto: per il presidente della Cna Veneto, Alessandro Conte «oltre al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali bisognerà ragionare con azioni più strutturate in grado di supportare le imprese ad affrontare le problematiche dei prossimi mesi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci