Il calcio di Claudio Pasqualin: «L'era dei procuratori è nata con me: ecco come tutto è cominciato»

Lunedì 26 Settembre 2022 di Edoardo Pittalis
Claudio Pasqualin
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Il mestiere di procuratore dei calciatori l'ha praticamente inventato lui e anche un paio di leggi che regolano i rapporti tra società e tesserati. Quando ha iniziato, gli atleti erano proprietà personale del presidente, non potevano opporsi al trasferimento, se lo facevano finivano in un angolo e sparivano perfino dall'album delle figurine. Voleva fare il calciatore, era un centromediano che marcava a uomo nella De Martino dell'Udinese, l'ultimo baluardo davanti a Dino Zoff. Poi capì che la sua vera maglia era la toga da avvocato. Oggi si rifà con la bicicletta, ha messo insieme una dozzina di titoli tra mondiali e nazionali nei campionati di avvocati e giornalisti. Rigorosamente over settanta, ho meno concorrenza. E' diventato popolare come personaggio televisivo nelle trasmissioni di calcio e ciclismo. Se occorre sa pure cantare. Si è esibito con altri sportivi sul palco dell'Ariston a Sanremo, di rigore una canzone vincitrice del Festival: ha cantato e vinto con Uno per tutte di Tony Renis. Ha anche fatto parte del complesso Paolo Rossi e los Pablitos, esclusivamente ritmi sudamericani. A dare una mano a Pablito c'era un fuoriclasse della canzone come Don Backy. Claudio Pasqualin, 78 anni, può raccontare mezzo secolo di calcio italiano.

Un friulano felicemente trapiantato a Vicenza dove vive con la moglie Maria Grazia ed è nonno di Francesco e Tommaso. Colleziona cimeli calcistici, i pezzi migliori sono in un museo che ha tra i soci Pelè: la raccolta tra poco sarà in Qatar per il campionato del mondo. Non trascura la buona tavola e il buon vino: è nella Confraternita del Baccalà di Vicenza, ha come maestro in vino l'amico Bruno Pizzul.


Padre polesano di Loreo, madre etrusca di Tarquinia. Cosa ci facevano a Udine?
«Mia mamma maestra incontrò mio padre paracadutista di stanza a Tarquinia e finirono per sposarsi. I casi della vita li hanno portati in Friuli, mamma andava a insegnare nelle campagne a dorso di mulo, papà era impiegato della Società Friulana Elettrica. Due fratelli, Gloria e Marino: la prima è stata insegnante di lettere e pianoforte, il secondo è morto in un incidente a 40 anni mentre tornava da un concerto, era il leader del complesso i Pitoni. Dal liceo Stellini a Udine alla facoltà di giurisprudenza a Trieste, arrotondavo insegnando educazione fisica nelle scuole medie. Il calcio mi piaceva e me la cavavo, ero difensore nella De Martino dell'Udinese, ma per fortuna in porta c'era Zoff e in attacco Ivano Bosdaves che ha giocato nel Napoli. Zoff l'ho rivisto anni dopo, quando era presidente della Lazio e io assistevo il centrocampista Giorgio Venturin: ci siamo abbracciati, forse ha detto tutte in una volta più parole di quante ne diceva quando stava in porta».


Lei è rientrato nel mondo del calcio, ma da una scrivania...
«Avevo capito presto che ero un calciatore fino a un certo punto, il colpo d'ala l'ho dato quando ho chiesto al professore di Diritto Commerciale una tesi di laurea sulla trasformazione delle associazioni calcistiche in società per azioni. Mentre cercavo il materiale sono andato a Bassano da un giovane avvocato ex calciatore di serie A, Sergio Campana, che mi mise a disposizione la sua biblioteca. Facevo pratica da avvocato e continuavo a insegnare ginnastica, quando ho saputo che la neonata Associazione calciatori cercava un segretario. Tra i fondatori c'era anche Massimo Giacomini, udinese come me e proprio allenatore dell'Udinese. Campana mi consigliò di parlarci e andai nel negozio della famiglia Giacomini in piazza XX Settembre, in centro città. Non so come andarono le cose nel febbraio 1971 nella seduta del consiglio dell'Associazione a Bologna, ma quel giorno la mia vita cambiò. Ero sposato da pochi mesi con Grazia, supplente di inglese. Venni a sapere dal centralinista di un giornale sportivo che un certo Pasqualin era stato nominato nuovo segretario dell'Associazione Calciatori. Campana mi fece trasferire a Vicenza e 51 anni dopo sono ancora qua».


Cosa era allora l'Associazione Calciatori?
«Era qualcosa che stava cominciando a dare dignità e credibilità a una categoria che per il fatto che guadagnava tanto non aveva diritti. Non era il sindacato dei miliardari, cosa che Mazzola, De Sisti, Rivera, Bulgarelli, Juliano capirono prima di tutti. C'erano vincoli enormi, non potevi opporti alla società. Non era un lavoro che piaceva ai presidenti e i giornali dicevano che era la rovina del calcio. Non tutti la pensavano così, Gianni Brera incontrando Campana gli disse: Le cose vanno bene anche perché hai centrato il furlanut. Fu per me come una seconda laurea. Era un momento caldo di tutto il sindacalismo, la rettitudine di Campana ha evitato il rischio di far fallire quella che poi sarebbe stata una vera rivoluzione».


Quando Pasqualin è diventato procuratore dei grandi calciatori?
«Dieci anni dopo che avevo lasciato l'Associazione Calciatori. Il Milan del presidente Colombo voleva che facessi l'amministratore delegato, avevo il contratto in tasca, mancava solo la firma. Un giornalista sparò la notizia e gli ultras gridarono che ero stato assunto per far fuori Rivera, non era vero ma saltò tutto. Ripresi a fare l'avvocato in cause legate al mondo del calcio, ho difeso la Roma del presidente Viola contro Falcao che chiedeva tre miliardi. Trovai in un cavillo la chiave per vincere. Ho difeso con successo nel penale anche alcune famiglie delle vittime venete della strage dell'Heysel. Come procuratore nasco agli inizi degli Anni '80, quando Eligio Nicolini, trequartista di qualità del Lanerossi Vicenza, suonò al campanello e chiese di occuparmi di lui. Il contratto fu firmato prestissimo e bene per il mio cliente. Ero tra i primi, ho comunicato subito l'esigenza di un regolamento in materia, ero conosciuto dalla Federazione ed ero una controparte credibile e autorizzata. Sono stato tra i fondatori dell'Associazione Procuratori, ma nel tempo la figura del procuratore è rimasta vittima di un regolamento che si è involuto».


I clienti più famosi?
«Ho sempre avuto giocatori di buon livello, anche qualcuno davvero eccezionale come Alessandro Del Piero. Con lui ho avuto grandi esperienze che non sono solo quelle del contratto del secolo, ma anche quelle del letto di dolore nella clinica del Colorado per rimettersi a posto il ginocchio. E Gianluca Vialli, altro uomo eccezionale. E come non ricordare Rino Gattuso: ero in Scozia per due giocatori, in un albergo a Glasgow, quando nella hall passa un ragazzino con una tuta dei Rangers più grande di lui. Lo aiutai a liberarsi del contratto con un mediatore olandese che l'aveva preso dal Perugia. Ricordo le lacrime della sua famiglia a Berlino per il mondiale del 2006 e poi tre giorni di festa ininterrotta in Calabria. Così come mi ha stupito l'interesse culturale di Olivier Bierhoff: il padre era il direttore dell'Enel tedesco, lui era dell'Inter dove non giocò mai e lo dirottò all'Ascoli. Per me era una scommessa, grande la soddisfazione quando Galliani portò Bierhoff dall'Udinese di Pozzo al Milan dello scudetto».


Lei è anche un personaggio televisivo e pure campione mondiale di ciclismo: come ha fatto?
«E' incominciata involontariamente col processo Roma-Falcao, ero in Lega e in attesa della sentenza c'erano le tv e per la Rai Everardo Della Noce che mi venne incontro col microfono in mano, praticamente il Tg 1 aprì con quella notizia. Quel telegiornale mi rese popolare e ha favorito la mia presenza a tempo pieno in trasmissioni seguitissime. Il ciclismo è venuto dopo: fino quasi ai 60 anni non sapevo cosa fosse la bicicletta, poi gli amici me ne hanno regalato una e sono stato travolto dalla nuova passione. Ogni giorno faccio almeno 70 Km. anche in salita».

 

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