Allarme Arpav: «Stato di siccità estrema». La Regione: «Abbiamo un piano per i fiumi»

Giovedì 4 Agosto 2022 di Mauro Favaro
Emergenza idrica in Veneto. Uno scatto da Castelfranco

TREVISO - Siccità addirittura estrema su tutta la provincia di Treviso. L'Arpav non ha usato giri di parole nell'ultimo bollettino. La grande sete si fa sempre più intensa. I temporali dei giorni scorsi non bastano. Parlando di medie, a luglio è caduto il 41% di pioggia in meno rispetto agli scorsi anni.

E in alcune zone, come quelle di Mogliano, Oderzo e Fontanelle, le precipitazioni sono state 10 volte in meno della media. Stando ai dati degli ultimi 27 anni, infatti, erano attesi 90 millimetri. Ne sono caduti 9. Anche le falde sono ai minimi storici: «Tutte le stazioni dicono dall'Arpav sono inferiori ai minimi stagionali mai registrati». Quella tra Castagnole e Treviso ha esaurito la ricarica con un mese di anticipo. Mentre a Castelfranco il livello è a meno 150% rispetto al valore atteso.


IL BOLLETTINO MEDICO
Le temperature hanno superato i record del 2003. E domani, 5 agosto, si toccherà un nuovo picco tra i 36 e i 38 gradi. Il Suem118 sta facendo un super lavoro per rispondere a tutte le chiamate per malori. «Martedì abbiamo contato 160 interventi - spiega Marialuisa Ferramosca, direttore della centrale operativa di Treviso - ma anche in media rimaniamo sui 130 interventi al giorno legati al caldo». In assenza di piogge, inoltre, aumentano i ristagni. Di conseguenza le zanzare si moltiplicano e con loro anche il rischio di essere contagiati dal virus del West Nile.


L'AGRICOLTURA
Davanti a questi numeri è scattato il piano di emergenza regionale per evitare un disastro nel settore dell'agricoltura. Si è deciso di prelevare più acqua dai laghi alpini per aumentare la portata dei fiumi nella Marca in modo da salvare le coltivazioni di cereali e i vigenti. La scelta contro la grande siccità è stata timbrata dall'unità di crisi regionale, guidata dal presidente Luca Zaia nella veste di commissario delegato per gli interventi urgenti per la gestione della crisi idrica. È già partita la richiesta a Enel Green Power di aumentare il rilascio dai laghi che rappresentano la banca dell'acqua dell'agricoltura trevigiana: quelli del Mis, di Pieve di Cadore e di Santa Croce. Le misure riguardano in primis il Piave. «Si è provveduto al maggiore rilascio dai bacini montani - spiegano dalla Regione - al fine di salvaguardare le fonti dell'acquedotto e tutelare la sopravvivenza del fiume». Si tratta di un obbligo di legge. «L'articolo 163 del Codice ambientale prevede che dopo l'uso idro-potabile venga quello agricolo - chiarisce Gianpaolo Bottacin, assessore regionale all'ambiente - per garantire le quantità minime per queste attività si sta incrementando la capacità del Piave con l'acqua dei laghi di montagna, con un grande sacrificio per il turismo di quelle zone». Anche il Meschio è osservato speciale. «Enel Green Power specificano dalla Regione ha aumentato il rilascio di 4 metri cubi al secondo». Nell'ultimo tratto del Livenza, invece, si è costretti a immettere acqua dolce per far fronte dell'espansione del cuneo salino, cioè l'acqua che risale dal mare. «Siamo in un momento importante anche per il mondo agricolo, in cui le coltivazioni maturano e siamo vicini alla raccolta autunnale sottolinea Zaia nel caso del Piave si tratta di tutelare da un lato i vigneti e dall'altro tutte le coltivazioni di cereali».


LE CRITICITÀ
Si prova a gestire un equilibrio quanto mai precario. I laghi di montagna sono tutt'altro che ai massimi livelli. La disponibilità di acqua nel lago del Mis è già scesa sotto al 48%. È stata la quota che ha indotto il consorzio di bonifica Piave ad avviare lo schema a giorni alterni per orti e giardini negli 89 comuni serviti (solo per chi ha un collegamento gestito dal consorzio). Il livello complessivo del lago del Mis non può scendere sotto al 20%. E solo da qui vengono prelevati qualcosa come 500mila metri cubi di acqua al giorno. Negli altri due laghi le cose vanno un po' meglio: Santa Croce è sotto al 68% e Pieve di Cadore sta scendendo dalla quota dell'80%. Ad oggi non resta che gestire l'emergenza. Per il futuro, però, si guarda all'estensione del sistema di irrigazione a goccia (e non a scorrimento con le canalette) e alla trasformazione di alcune cave dismesse in invasi da usare come riserve idriche. Il consorzio di bonifica Piave ne ha individuate cinque. Lo stesso Bottacin, comunque, sottolinea che la Regione ha già pronto un piano per convertire alcune cave dismesse. «Il problema sono le risorse ma soprattutto le norme nazionali: se oggi chiedo a una soprintendenza di trasformare una cava in un lago, il diniego è quasi automatico conclude l'assessore quindi o in questo Paese decidiamo quali sono le priorità e agiamo di conseguenza oppure continueremo a parlare di emergenze».

 

Ultimo aggiornamento: 10:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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