Marco Angelo Falier, il Procuratore che si oppose al trasferimento del "potere" a Costantinopoli

Lunedì 5 Luglio 2021 di Alberto Toso Fei
Marco Angelo Falier (XII-XIII secolo) nel ritratto di Matteo Bergamelli

Il 9 agosto 1222 non è una data qualunque per Venezia. Quel giorno, davanti ai maggiorenti della Serenissima che aveva fatto convocare allo scopo di assumere una decisione capitale, il doge Pietro Ziani, 72enne ricco e saggio, che aveva contribuito alla riorganizzazione dello Stato da Mar in un efficace sistema di signorie e colonie militari autonome concependo un sistema di stato “leggero” che mantenesse sotto il controllo diretto gli snodi marittimi principali, propose ai nobili veneziani di lasciare la laguna e trasferire gli abitanti del dogado... a Costantinopoli.

E se Venezia esiste ancora così come la conosciamo è perché fra lui e questa ipotesi molto concreta si frappose – in misto di leggenda e verità, come piace molto ai veneziani – Marco Angelo Falier, un anziano Procuratore di San Marco di un'altra delle grandi famiglie originarie, che ancora doveva macchiarsi dell'onta del tradimento per mano di Marin Falier, il doge che nel 1355 – 133 anni più tardi – fu decapitato.

Dopo la caduta della città per mano dei crociati nel 1204, gli occidentali avevano creato l'Impero Latino d'Oriente; Venezia aveva ottenuto la costa occidentale della Grecia, la Morea, Nasso, Andro, Negroponte, Gallipoli, Adrianopoli e i porti della Tracia sul Mar di Marmara.

Ai dogi veneziani fu assegnato il titolo di “Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente”.

Forte della situazione, e di questi precedenti, Ziani fece un discorso accorato: «Là non avremo a temere le ree non meno che inevitabili conseguenze dell'infezione dell'aria – disse fra le altre cose – le quali ogni giorno più ci minaccia la bassa palude, in cui viviamo. Non ci spaventeranno più quei terremoti, onde poc'anzi vedemmo le due contrade d'Amiano e Costanziaco, e la città di Malamocco, miseramente dal mare ingoiate. Là non saremo molestati dalle incessanti guerre di cotesti nostri vicini, nelle quali si vince sempre, ma pagando la vittoria con assai caro sangue dei cittadini».

Nel tentativo di convincere i Senatori, i Procuratori e gli appartenenti al Maggior Consiglio, puntò anche sugli aspetti sentimentali: «Guardisi dunque che il troppo amore per questa nostra culla in troppo danno della patria non si risolva; se partiremo noi per recarci in Costantinopoli, Vinegia, dolce nostra patria, pure con noi vi si recherà nei nostri cuori».

Insomma per Pietro Ziani (che era a sua volta figlio di un altro grande doge, Sebastiano), era arrivato il momento di spostare la capitale, relegando Venezia al rango di città periferica della Serenissima, creando nuovi equilibri e una concezione diversa nella gestione dei dominii. Ogni cosa sembrava volgere a favore di questa decisione: l'eloquio del doge era convincente e fermo; le sue ragioni condivisibili; poco o nulla vi era da opporre all'opportunità di quella proposta.

Invece, l'anzianissimo Procuratore Marco Angelo Falier chiese la parola e faticosamente salì i gradini del palco per proferire la sua contrarietà: «Non ci porse Venezia contro ai barbari sicurissimo asilo? Non ella ci accolse, ci nutrì, accrebbe la gloria nostra? Non è ella la più singolare città del mondo? Non istassi ella vergine mai sempre inviolata sul suo mare, che è per lei invittissima muraglia, ed insuperabile inciampo a qualsivoglia nemico? La forze dell'armi superò più volte Costantinopoli; Venezia non mai, ché a volerla prendere altro mezzo non ci sarebbe che quello di condurci noi stessi o per viltà, o per tradimento. Lasceremo noi dunque una città ch'è imprendibile, e dove la maestà della Repubblica siede sul suo trono saldissima?».

Confutando gli argomenti del doge su guerra, carestie, terremoti e insalubrità dell'aria («la decrepitezza mia e quella di tant'altri in Vinegia danno a divedere col fatto quanto sia falsa quest'asserzione»), Falier affondò poi il colpo: «Conserviamoci quali siamo. La prudenza dev'essere prima virtù d'uomini repubblicani. Questa dunque seguiamo. No, non si lasci questa cara e dolce Vinegia per qualsivoglia altra sede del mondo». La proposta del doge fu dunque messa ai voti. E Venezia rimase la capitale della Serenissima Repubblica per un voto solo.

Ultimo aggiornamento: 17:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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