Venezia. Morte di Sissy, l'agente in aula: «Non ho mai detto di averla uccisa»

Giovedì 11 Maggio 2023 di Nicola Munaro
Venezia. Morte di Sissy, l'agente in aula: «Non ho mai detto di averla uccisa»

VENEZIA - Sissy? «Non ho mai detto di averla uccisa». Secca e decisa a sgombrare ogni dubbio. Inizia così la testimonianza dell'ex agente di polizia penitenziaria ora in servizio a Salerno ma con un passato da secondina alla Giudecca. Nel processo aperto ieri l'agente di custodia è parte offesa con gli avvocati Stefania Pattarello e Marco Marcelli: perché lei la vittima della calunnia contestata dalla procura ad una detenuta del carcere femminile veneziano (difesa dall'avvocato Mauro Serpico) che nel gennaio 2020 aveva rivelato all'allora comandante della polizia penitenziaria alcuni episodi a sua conoscenza che indicavano un'altra guardia carceraria come possibile responsabile dell'uccisione di Maria Teresa Trovato Mazza, per tutti solo "Sissy", l'agente di polizia penitenziaria ventottenne, originaria di Taurianova (Reggio Calabria), morta il 12 gennaio 2019 dopo che il suo corpo era stato rinvenuto in un lago di sangue l'1 novembre 2016 in un ascensore dell'ospedale di Venezia, con un proiettile che le aveva trapassato il cranio.

NESSUN DIVERBIO

L'agente accusata dalla detenuta di aver ucciso Sissy si è soffermata sul rapporto con la sua collega («con Sissy eravamo amiche e colleghe, abbiamo fatto una vacanza insieme a giugno 2016») prima di raccontare al tribunale com'era nata l'intera vicenda.
«Con lei (la detenuta imputata, ndr) avevo solo rapporti lavorativi, quando dovevo calmarla, come quella mattina dell'11 gennaio 2020: ero di servizio e un ispettore mi disse di andare a parlare con lei che era molto aggressiva - ha raccontato - Appena ho aperto la porta la detenuta mi ha aggredito: "io so che tu hai ammazzato Sissy o sei la mandante".

Le ho risposto "ma che cosa stai dicendo" e lei diceva "io so tutto e ti faccio male". Ho detto che saremmo potuti andare giù a verbalizzare ma ha continuato a dire queste frasi fino all'arrivo dell'ispettore». Quella sera, poi, l'agente di polizia era stata richiamata e sentita a mezzanotte per capire cos'avesse detto la detenuta: «Il commissario mi sequestrò l'arma perché disse che io quella mattina avevo detto che mi volevo uccidere, ma era una mia espressione: "vorrei morire per sapere la verità" che uso sempre e alla quale non do peso. Da quel giorno - ha concluso - mi ritrovai in ospedale per gesti autolesivi ma fui dimessa un mese dopo».

LA DINAMICA

È stata un'altra guardia carceraria a raccontare come sarebbe avvenuto l'omicidio secondo la detenuta: «Lei mi disse che Sissy era in ospedale e mentre lo diceva faceva il gesto della pistola tenuta in mano dalla mia collega che le aveva sparato sul collo. Com'erano andate le cose - ha concluso - dice che gliel'aveva raccontato la stessa collega nel giorno di compleanno di un'altra detenuta». Secondo il racconto di una delle agenti, ieri testimone, «tra alcune detenute si diceva che la mandante potesse essere l'allora direttrice e la nostra collega l'autrice materiale».

LA FAMIGLIA

Ieri in aula anche Salvatore Trovato Mazza, papà di Sissy: «perché in questa storia nessuno dice la verità» ha commentato. Questo mentre la scorsa estate la procura si è vista respingere per la terza volta la richiesta di archiviazione dell'inchiesta sulla morte dell'agente.

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