La "Carriera di un libertino" convince
a metà: ottimi cantanti, non la regia

Domenica 29 Giugno 2014 di Mario Messinis
La "Carriera di un libertino" convince a metà: ottimi cantanti, non la regia
VENEZIA - In una brillantissima conferenza per gli Amici della Fenice, Luca Mosca ha dichiarato: “per Stravinskij il sesso è nel frigidaire”. E' una battuta che però dichiara una verità che corrisponde al carattere distaccato, al limite “astratto” della “Carriera di un libertino”, ripresa alla Fenice dopo quasi un trentennio.

E' il congedo dell'autore dal cosiddetto stile neoclassico, una riflessione sul passato quasi per “puntellare”, secondo la parola di Eliot, una civiltà giunta al tramonto, con i venerandi brandelli della tradizione. Rivivono gli archetipi teatrali dell'opera comica con personaggi catafratti, maschere che si aggirano nel vuoto, in una evocazione del Settecento che a momenti allude ad un clima di asfodeli.

Il veneziano Damiano Michieletto è il regista più giustamente celebrato dell'ultima generazione, un artista che manovra le macchine teatrali e la recitazione con spregiudicata abilità, sostenuta anche dalle invenzioni scenografiche di Paolo Fantin.

Il problema aperto è quello del rapporto della regia con il manierismo sublime del testo letterario di Auden e della musica di Stravinskij. Pur in una lettura attualizzata, ovviamente legittima, alcuni aspetti a mio parere sono irrinunciabili. La “Carriera” è un'opera da camera: la moltiplicazione postmoderna e post televisiva degli effetti e degli accumuli quantitativi di masse e comparse contraddice il testo al pari della visceralità delle situazioni e delle incontinenze sessuali.

Sono da segnalare tuttavia la domestica presentazione dei personaggi principali nel primo quadro e la forte visualizzazione del terzo atto, nella scena del cimitero e nel finale del manicomio. Peraltro qui Stravinskij sembra rinunciare al proprio rigoroso oggettivismo e ripensare al demonismo della “Dama di picche” di Ciajkovskij e ai temi della pazzia come allucinazione.

Forse anche per questo Michieletto vive le ossessioni drammatiche e gli angosciosi deliri dell'epilogo in sintonia con la musica.

Magnifica la compagnia di canto, con tre impeccabili protagonisti: il travolgente Alex Esposito (il diavolo), la toccante Carmela Remigio (Anna) e il giovane tenore Juan Francisco Gatell (Rakewell), perfetto interprete dicitore e vocalista.

Dirige Diego Matheuz con grazia mozartiana e l'orchestra lo segue con trasparenza nella affabulazione dei fiati; coro molto duttile, anche scenicamente, guidato da Claudio Marino Moretti.
Ultimo aggiornamento: 30 Giugno, 09:01

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