Il ragazzo che fotografa gli sciacalli: grazie a loro ho imparato a fare il papà

Sabato 19 Giugno 2021 di Camilla De Mori
Il ragazzo che fotografa gli sciacalli: grazie a loro ho imparato a fare il papà

UDINE - La prima fototrappola, a 19 anni, fresco di diploma da perito chimico al Malignani di Cervignano, con i soldi del suo primo lavoro di tecnico di laboratorio. «Invece di andare in discoteca, andavo a cercare gli sciacalli dorati», ci scherza su lui. Da allora, non si è più fermato Stefano Pecorella (un nome che sembra un ossimoro per un appassionato di predatori, «ma fa nulla»), di Ajello, che in 10 anni di appostamenti ad ascoltare ululati di rimando e a spiare con le fototrappole la vita segreta degli animali, è riuscito a segnare una serie di colpacci mica da ridere per un autodidatta.

Primo (nel 2014) a fotografare la lontra in Fvg nel XXI secolo dopo la sua estinzione. Primo a riprendere in regione il cane procione. E ora primo in Italia a immortalare cuccioli di sciacallo di poche settimane, (di solito vengono fotografati più grandicelli). Ora, il ragazzo che fotografa gli sciacalli sta per diventare padre di due gemelli e, dice, dal babbo Canis aureus che ha seguito per quasi 4 mesi, da metà febbraio a giugno, con la sua famiglia ha imparato tanto. «È stato d'esempio: un papà premuroso con tanta pazienza». 


LA PASSIONE

Ma perché proprio quest'amore sconfinato per gli sciacalli, che in Italia scontano una nomea dura a morire (basterebbe pensare all'uso metaforico del nome)? «Mentre il lupo e la volpe si conoscono molto bene, lo sciacallo era una figura quasi mitologica. Mi ha subito affascinato», dice Pecorella, che lavora in Ferrovia. La passione per gli animaligli era nata già da bambino, «quando a Tarvisio avevo tante occasioni di osservarli». Poi, «ho studiato in autonomia». I primi soldi guadagnati, li ha usati per comprarsi un'auto e una fototrappola. Lo sciacallo è stato il primo modello. «Dal 2012 al 2015 le prime osservazioni sul Carso goriziano». «Non so quante ore di appostamenti ho fatto. Le cose fatte per passione non pesano, come la benzina e la fatica spese». Ma nonostante lupi, gatti selvatici e i barbagianni fotografati durante l'accoppiamento nella Bassa nel 2018, «lo sciacallo è sempre rimasto il mio leit motiv. Ho ripreso a seguirli nel 2019, quando mi hanno raggiunto a casa», ci scherza su. «La specie è arrivata sul Torre, che dista qualche chilometro da Ajello. Sembra proprio che mi siano venuti a cercare».


LE TANE

E così Stefano ha iniziato a mettere nel mirino le tane di tasso, predilette dagli sciacalli. Ma all'inizio è stato un buco nell'acqua: «I primi due anni sono stati infruttuosi: o c'erano tassi o volpi». Sciacalli, zero. Poi, in questo 2021 funestato dal covid, «una delle tane che monitoravo con le fototrappole è stata occupata da una coppia di giovani sciacalli dorati. Questo mi ha dato la possibilità di guardarli nelle fasi più riservate, mai osservate così da vicino in Italia. Ho dovuto muovermi in punta di piedi». Tre fototrappole nell'area del basso corso del Torre, decine di riprese scartate (la macchina scatta per ogni movimento), con video di ratti non invitati. Il tutto confluito in un articolo divulgativo su un sito per appassionati (fototrappolaggionaturalisticoi.it) e in futuro «in una nota scientifica», cui sta lavorando.


VIDEO

Nei tenerissimi video pubblicati, quasi una sit-com sciacallesca, con i due animali, seguiti passo passo, prima da fidanzati, quindi una volta diventati famiglia, con tre cuccioli. «Gli sciacalli sono genitori premurosi. Il legame fra maschio e femmina viene rinsaldato di continuo. Con la pulizia del mantello, le effusioni, le cerimonie di saluto, quando il maschio allestisce il banchetto per la femmina che sta allattando». Per ora, come si direbbe, Stefano ha appeso le fototrappole al chiodo. «Questo capitolo si conclude qui almeno per qualche anno: mi dedicherò ai miei due gemelli che stanno per nascere a giorni. Ma quando i gemellini cresceranno, verranno con me a cercare sciacalli. Adesso, il loro numero è salito (in Italia se ne stimano 210-250, in Fvg 150-170 ndr) e la specie dovrebbe essere fuori pericolo. La missione ora è comunicarla nel modo giusto». E Stefano è sulla buona strada. Come dice Lapini, zoologo del Museo di Storia Naturale di Udine «farà molto di più il suo lavoro per migliorare la percezione di Canis aureus in Italia di fiumi di inchiostro versati su riviste scientifiche».

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