VITTORIO VENETO (TREVISO) - Non ci fu premeditazione nell’omicidio di Paolo Vaj, il 57enne assassinato in casa sua a luglio del 2019 dalla 58enne Patrizia Armellin e dalla 30enne Angelica Cormaci. Lo ha stabilito ieri la Corte di Cassazione a cui la difesa delle imputate aveva fatto ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Venezia. In secondo grado i giudici avevano condannato a 24 anni Armellin e a 16 la Cormaci, confermando il verdetto della Corte d’Assise di Treviso. Ora invece il colpo di scena. Gli Ermellini hanno cancellato l’aggravante della premeditazione e rimandato le carte del processo alla Corte d’Appello lagunare, che adesso dovrà rideterminare la pena a ribasso.
LA DECISIONE
La decisione della Cassazione è un indubbio successo per il nuovo difensore delle due donne, l’avvocato Giacomo Iaria, che aveva puntato proprio a escludere la premeditazione. Il legale, nel formulare il ricorso, aveva sottolineato la mancanza del nesso cronologico e il contesto di presunti maltrattamenti in cui si sarebbe consumato il delitto. Non solo. C’era un altro aspetto cruciale che non tornava al legale: il movente economico. Le due donne avrebbero agito per intascare gli oltre 400mila euro di polizze assicurative di Vaj, la cui beneficiaria sarebbe stata proprio Patrizia Armellin. Ma per il suo difensore questa tesi non reggeva: la 58enne, già broker assicurativa, era consapevole che non avrebbe potuto beneficiare di una polizza vita se fosse stata ritenuta responsabile della morte di colui che aveva contratto la polizza. Da qui la confutazione del movente economico come elemento di premeditazione. Il legale lo ha smontato anche sul fronte dei mezzi con cui è stato compiuto il delitto e dell’attesa del momento propizio. Iaria ha evidenziato invece il fatto che l’omicidio fosse avvenuto all’improvviso dopo una violenta discussione fra Vaj e le due donne, attualmente detenute nel carcere trevigiano di Santa Bona. Le motivazioni della sentenza verranno depositate nelle prossime settimane. «La sentenza conferma come l’impianto accusatorio di questo processo vacillasse in ordine alla effettiva programmazione del delitto - commenta soddisfatto l’avvocato -. Nonostante vi fosse una messaggistica da circa sei mesi che comportava una preordinazione nonché un’occasione futura di poter realizzare un delitto, queste circostanze non possono, da sole, determinare la premeditazione. La Corte lo ha riconosciuto come un omicidio d’impeto».
IL DELITTO
Il delitto era avvenuto la notte tra il 18 e il 19 luglio del 2019 nella casa di via Cal dei Romani dove i tre abitavano.