L'impresa di Pierangelo Bressan: «Ho fatto le scarpe ai soldati americani»

Lunedì 23 Dicembre 2019 di Edoardo Pittalis
L'impresa di Pierangelo Bressan: «Ho fatto le scarpe ai soldati americani»
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VEDELAGO (TREVISO) - Lui ai soldati americani fa le scarpe. Proprio le mette ai piedi, è l'unico europeo che può vendere nelle catene autorizzate dell'esercito. La Fox News nell'ultimo documentario sull'esercito Usa ha chiuso con l'elogio del modello T8 della Garmont, al primo posto nella classifica delle scarpe militari.
Il mercato americano vale quasi la metà degli oltre 30 milioni di euro del fatturato della Garmont di Vedelago di Pierangelo Bressan. Trecentocinquantamila paia di scarpe all'anno, l'85% esportato. Cinque anni fa la Garmont stava per fallire, oggi è un'azienda modello: «È la cosa della quale vado più orgoglioso. Era data per morta, non c'erano state commesse, c'era stato il buio pubblicitario. Era una società che tanti volevano, ma appena aperta la porta scappavano a gambe levate. Noi non siamo scappati e siamo ancora qui. Le cose belle vanno raccontate. Io per carattere vedo il bicchiere mezzo pieno, sono ottimista: il futuro va gestito, non va subìto».
Pierangelo Bressan, 61 anni, di Montebelluna, è il presidente della Garmont calzature. Vive con Nicoletta e tre figlie: Elisa 30 anni, Beatrice 24, Vittoria 13. Partecipazioni in diverse società, la più importante è quella in VeNetWork che riunisce una sessantina di imprenditori veneti che gestiscono 200 aziende che lavorano in 90 paesi e hanno complessivamente 4 mila dipendenti. Prima della scarpe ha fatto il consulente tessile, il gioielliere, l'immobiliarista. Ha anche creato la Prisma che offre servizi alle aziende sulla progettualità e che ha come clienti, tra gli altri: Moncler, Dolce&Gabbana, Diesel, North Face.
È stato difficile salvare un'azienda con un nome importante?
«Nel 2013 è incominciata la mia avventura con la Garmont. Mi dicono che c'era un'azienda che stava chiudendo e si poteva provare ad affittarla per evitare il fallimento salvando i posti di lavoro e un marchio conosciuto. Ho deciso in un quarto d'ora, mi ha dato una mano il canadese Terry Urio, l'amministratore che seguiva la parte finanziaria. Ho sostituito la vecchia srl Garmont con la Garmont International che pagava l'affitto e i creditori. La vecchia azienda era una macchina pesante, si estendeva su 6000 metri quadrati, oggi ne bastano 600! Fortunatamente il marchio era importante e stimato. A proposito, Garmont sta per Garbuio Montebelluna, il fondatore Carlo Garbuio è mancato qualche anno fa. Abbiamo evitato il fallimento e a fine 2015 è arrivata Veneto Sviluppo che ha acquisito il 25% del capitale determinando la prima svolta. Oggi Veneto Sviluppo è uscita dalla società con un margine di utile molto alto e le sue quote sono state prese dal nostro socio americano».
Avete scoperto l'America?
«Ci siamo accorti che il mercato degli Stati Uniti chiedeva molto di più e abbiamo creato una Garmont americana che vende una grossa parte del prodotto militare nelle catene autorizzate. Siamo l'unico brand europeo che ha avuto la certificazione per fare le scarpe per i soldati Usa. Ma quelle scarpe vanno anche altrove: un anno fa abbiamo deciso di investire in un progetto importante con l'associazione sudafricana per la conservazione della specie del rinoceronte bianco. Stiamo educando duemila ragazzi in cinque scuole per farne dei ranger del territorio. Li vestiamo completamente, saranno i custodi del futuro della loro terra. Ho sempre pensato che quando un'azienda va bene è giusto che investa una parte degli utili per la società. È un dovere».
Lei è nato nella terra della scarpa sportiva, ma ha iniziato facendo altro
«Sono il più grande di cinque fratelli di una famiglia di operai, ho abbandonato gli studi per andare a lavorare in un'azienda tessile, poi mi sono diplomato perito tessile con i corsi serali. In una famiglia di cinque figli uno stipendio solo non bastava. Ho deciso una sera quando ho sentito mio padre che chiedeva a mio zio un prestito per far studiare i figli. In quell'istante ho capito che il giorno dopo avrei cercato un lavoro per aiutare in casa. Come ragazzo soffrivo tanto, ci mancavano molte cose. Mio padre è morto ramengo, aveva sempre un senso di colpa nei confronti dei figli, voleva darci tutto il possibile. Abitavo a Montebelluna dove tutti facevano scarpe, ma io ho fatto la mia carriera nell'industria tessile; allora il terziario era molto diffuso, i Benetton avevano insegnato che non c'era un angolo dove non ci fosse un laboratorio di produzione. Poi succede che capisco che il grande imbuto di quel tipo di produzione era l'automazione che rendeva diversa completamente la fase di modellistica fin lì fatta a mano. Così ho creato la prima attività davvero mia, la Prisma che aveva come scopo proprio offrire servizi alle aziende relativamente al mondo della progettualità. Era il 1987, abbiamo investito allora in un computer che in quel tempo costava 200 mila dollari, era enorme, ed era un azzardo».
Nella sua storia ci sono un passato da immobiliarista e uno da gioielliere
«Dopo il tessile, ho lavorato moltissimo nel settore immobiliare, non ho nulla di invenduto. Per anni ho avuto anche due gioiellerie, una a Belluno e una a Treviso; mi aveva spinto in quella direzione la passione per gli orologi. Ho finito per cedere i negozi per una questione di sicurezza, ho subito una rapina importante alle porte di Treviso, i banditi sono scappati sparando molti colpi in aria. Ero a cena con un nostro commerciante di orologi, all'uscita ci hanno teso l'agguato quattro banditi mascherati, ci hanno bastonati e derubati e all'arrivo della polizia se ne sono andati sparando e con una refurtiva di oltre mezzo milione di euro. C'erano anche altri motivi: molti clienti non volevano pagare con carta di credito Credo di avere ancora una parte di moralità che mi contraddistingue, tutti si lamentano, ma un'evasione così non fa crescere. Per non parlare dei redditi ridicoli denunciati da certi gioiellieri!».
Ha mai pensato di entrare nella moda con un marchio proprio?
«Un brand proprio? No, per l'amor di Dio. Bisogna essere consapevoli anche dei propri limiti. Se entri nel mercato non puoi copiare, fai una brutta fine. E più grande sei e maggiori sono i costi. C'è Zara che ha le fabbriche dentro le navi in viaggio sulle quali si lavora e si produce, riducendo i tempi di consegna. Se pensi di entrare, o fai qualcosa di eccezionale o sei finito prima di iniziare. Ci vuole genialità e tanta. Allora è meglio fare bene il mio mestiere. So bene che questa è una bottega, come si dice in dialetto: O te la vende o te ghe tende, o la controlli o la vendi. So anche di essere un accentratore. Un tempo alla Garmont il titolare era campione di golf e si fidava dei collaboratori; io ho grandi collaboratori, ma controllo sempre. Finché c'è di mezzo il tuo sedere, le tue garanzie in banca, il tuo occhio deve controllare. Abbiamo anche una responsabilità sociale, bisogna mantenere i posti di lavoro pur in un momento difficile. Piuttosto che dieci asini è meglio un cavallo. Il fatto è che spesso ci sono asini che si vendono come cavalli e devi saper distinguere».
Passioni oltre al lavoro?
«Questo è il mio grande mal di pancia. Non ho tanto tempo e mi piacerebbe stare di più con la famiglia. La mia grande passione sono gli orologi e un po' anche le auto, ho una Mercedes del 1960, cabriolet, modello storico. E gli orologi soprattutto vecchi modelli, ho un Rolex d'acciaio che aveva indossato Paul Newman in un film, non era di pregio, ma è diventato un'icona del secolo».
Edoardo Pittalis
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Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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