La Camera di Commercio: «Aziende ricattate dai lavoratori no vax»

Giovedì 30 Settembre 2021 di Mattia Zanardo
Il presidente della Camera di Commercio di Treviso e Belluno Mario Pozza
9

"Diverse aziende sono sotto scacco di dipendenti che non vogliono vaccinarsi". Mario Pozza, presidente della Camera di commercio di Treviso e Belluno, come d'abitudine, non usa giri di parole per rappresentare lo scenario che si sta delineando anche nella Marca in vista dell'entrata in vigore, dal prossimo 15 ottobre, del green pass obbligatorio per i lavoratori delle imprese private e pubbliche. Un provvedimento che però rischia di scontrarsi con una quota di addetti no- vax o comunque ancora restii a sottoporsi alla somministrazione del siero. "Mi hanno contattato vari imprenditori molto preoccupati e arrabbiati perché queste persone pretendono che la ditta paghi loro l'effettuazione del tampone periodico - conferma il numero uno dell'ente camerale - altrimenti, dicono, dal 15 ottobre ce ne restiamo a casa.

Non sono interessati alle possibili conseguenze per l'azienda, né per loro stessi, tanto, vista la crescente domanda di manodopera di questo periodo e le difficoltà a reperirla, sono convinti di trovare altre realtà disposte a soddisfare le loro richieste, magari anche andando a lavorare in nero".

La conferma di un aumento della domanda di lavoro arriva dall'ultima Indagine Excelsior sui fabbisogni occupazionali: in provincia di Treviso, tra settembre e novembre sono stimate 24.920 assunzioni, 5.470 in più rispetto anche allo stesso periodo pre- pandemia del 2019. La maggior parte delle richieste si concentra nell'industria manifatturiera e nelle public utilities (10.210 posizioni), nei servizi alle imprese e nel commercio. Molte offerte, tuttavia, rischiano di rimanere insoddisfatte. Risulta difficile trovare, cuochi e camerieri, così come tecnici informatici, ma soprattutto operai specializzati: secondo le imprese, è di difficile reperimento circa la metà di queste figure, con picchi del 60% per quelli metalmeccanici e del 70% per quelli delle industrie del tessile e abbigliamento. I problemi legati ad addetti non vaccinati è variegata da comparto a comparto e risente di molteplici fattori, ad esempio la presenza di stranieri, meno propensi alla vaccinazione rispetto ai colleghi italiani, rendendo molto complessa una quantificazione complessiva del fenomeno. Di certo, però, spiega Pozza, rischia di non trattarsi solo di pochi casi isolati. E soprattutto nelle piccole e micro imprese - cioè la stragrande maggioranza del tessuto produttivo locale - anche l'assenza di poche unità può compromettere l'attività o provocare notevoli complicazioni organizzative. "Purtroppo l'iniziativa di qualche imprenditore ha creato un precedente e ora rischiamo di pagarne le conseguenza", rimarca il presidente con un chiaro riferimento alla decisione della catena di negozi bio NaturaSì di sostenere la spese dei test per gli addetti contrari alla somministrazione del siero. Pozza si è già a più riprese espresso a favore del certificato verde anche nelle aziende, come strumento per garantire sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro e scongiurare un ritorno a restrizioni e chiusure che avrebbe effetti devastanti per il mondo economico.

Ora auspica un intervento del governo nella direzione di un'obbligatorietà della vaccinazione: "Non condivido l'ipotesi che a farsi carico dei tamponi siano le imprese, quando lo Stato mette a disposizione gratuitamente a tutti il vaccino. Chiaramente, non mi riferisco a chi non può vaccinarsi per ragioni sanitarie. Per giunta si tratterebbe di risorse sottratte a ben più proficui investimenti in innovazione, ricerca, promozione. Purtroppo la pandemia sembra non aver insegnato nulla: il treno della ripresa sta passando e non possiamo certo permetterci di perderlo".

Secondo uno studio di Confartigianato Marca Trevigiana, sarebbero circa settemila i lavoratori non ancora vaccinati su circa 35mila addetti complessivi in diecimila imprese dell'artigianato in provincia. L'associazione imprenditoriale ha calcolato pure che la necessità di sottoporre a test ogni 48 ore chi non si vaccina, dal 15 ottobre fino al 31 dicembre comporterebbe una spesa media totale intorno ai 500 euro pro capite. Un esborso non facilmente sostenibile delle piccole imprese qualora dovessero farsene carico. Fino a generare persino una sorta di ulteriore concorrenza tra realtà in grado di coprire il costo (soprattutto grandi gruppi) e altre impossibilitate a farlo. "Per questo chiediamo che questi eventuali importi possano almeno essere deducibili per le imprese o recuperati sotto forma di credito d'imposta", sottolinea il presidente provinciale Oscar Bernardi. A questo, tuttavia, si aggiunge un altro problema: gli attuali punti tampone, comprese farmacie e laboratori privati, sarebbero insufficienti a sostenere un tale flusso di utenti ravvicinati, per di più, essendo lavoratori, concentrati alla mattina presto o nel tardo pomeriggio. La rete dovrebbe dunque essere potenziata, con ulteriori centri. "Quella di fare i tamponi anziché il vaccino è una libera scelta - nota Bernardi - di certo però questa vicenda rischia di destabilizzare una situazione già oggi delicata, perché senza dubbio è in atto una buona ripresa, ma al tempo stesso dobbiamo fare i conti con carenza e rincari dei materiali e difficoltà di reperire manodopera". 

Ultimo aggiornamento: 16:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci