Frutta e verdura, pasta e pane prezzi alle stelle: Rovigo terza provincia in Italia con i maggiori rincari

Sono in rialzo i prezzi degli alimentari non lavorati, come la frutta e la verdura fresca, la carne fresca, il pesce fresco

Martedì 18 Luglio 2023 di Nicola Astolfi
Rincaro dei prezzi

ROVIGO - Il Polesine, insieme a Ravenna e Grosseto, è la terza provincia italiana con i maggiori rincari nei "Prodotti alimentari e bevande analcoliche" nell'ultimo anno secondo il Codacons, che ha elaborato i dati diffusi ieri dall'Istat sull'andamento dell'inflazione. In questa divisione di spesa, tra giugno 2022 e giugno 2023 i prezzi in provincia di Rovigo sono aumentati del 12,8%, pari a un aggravio di spesa annuo di 691 euro per ogni famiglia polesana, secondo le elaborazioni del Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori. La provincia di Rovigo è dietro solo a Cosenza (+14,3% e +924 euro di spesa annua a causa dell'inflazione alimentare) e a Macerata (+14,1%). Il listino al dettaglio di alimentari e bevande analcoliche è salito dell'11% nella media nazionale, superando così i rincari nelle categorie di spesa "Abitazione, acqua, elettricità e combustibili" (+10,1%), Servizi ricettivi e di ristorazione (+7,6%) e "Mobili, articoli e servizi per la casa" (+6,5%). Tra maggio 2022 e maggio 2023 la variazione tendenziale complessiva in Italia risultava +7,6%. Quindi, con il +6,4% annuale in giugno, l'inflazione è in decelerazione, in prima battuta grazie al rallentamento su base annua dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +20,3% a +8,4%). Anche i prezzi degli alimentari lavorati rallentano, da +13,2% a +11,5%. Al contrario, sono in rialzo i prezzi degli alimentari non lavorati, come la frutta e la verdura fresca, la carne fresca, il pesce fresco: da +8,8% a +9,4%.

Nel solo comune di Rovigo gli aumenti in un anno sono +16% per la frutta e +23,8% per i vegetali, +10% per pane e cereali, +7,5% per le carni. «Nonostante l'inflazione media sia in frenata nel nostro paese, i prezzi degli alimentari registrano ancora aumenti sostanziosi in molte città - commenta il presidente Carlo Rienzi nel comunicato diffuso ieri dal Codacons -. Cibi e bevande rappresentano beni primari di cui i cittadini non possono fare a meno. Il Governo farebbe bene a intervenire adottando misure tese a calmierare i listini e combattere le speculazioni che si registrano nel comparto, e che contribuiscono a mantenere elevati i listini al dettaglio».

Le cause dei rincari

Quali sono le possibili cause per l'accelerazione nei prezzi degli alimentari non lavorati? «L'anno scorso era legata soprattutto alle spese energetiche - risponde il direttore di Confagricoltura Rovigo, Massimo Chiarelli -, che sono state caricate dalla filiera e dalla grande distribuzione. E poi all'aumento dei prezzi dei cereali, prima che ci fosse l'accordo sul grano tra Russia e Ucraina. Ora per i cereali siamo tornati ai prezzi precedenti al Covid. E allora in questa situazione gli aumenti non sono giustificati, dal nostro punto di vista. Parlando poi di ortofrutta a livello di prezzi riconosciuti ai produttori non ci sono state cose stratosferiche. Ovvio che se si parla di ciliegie, ad esempio, c'è stato un aumento. Ma per una situazione di piogge intense, soprattutto in alcune parti d'Italia come nel Veronese, che hanno fatto sì che ci fosse una diminuzione della produzione. E quindi il mercato tirava. Secondo me, comunque, i maggiori costi portati in filiera nell'anno precedente non sono rientrati: l'energia si paga meno, ma si sono mantenuti i livelli precedenti di prezzi. Perché la produzione primaria di alimenti non vede a oggi gli aumenti attuali. Anzi, siamo preoccupati visti i prezzi cerealicoli in questo momento. In Polesine poi, dove abbiamo soprattutto pere, per quello che è rimasto, e mele, la stagione della frutta deve ancora cominciare, e andremo a vedere come sarà».

«Visti i prezzi dei cereali - conclude il direttore di Confagricoltura - il prezzo del pane teoricamente dovrebbe diminuire, invece rimane alto: meno di 4 euro il chilogrammo non si spende e così è diventato un prodotto per ricchi. La pasta, poi, sicuramente è aumentata, come il riso: le quotazioni di questo prodotto sono iniziate ad aumentare l'anno scorso perché la siccità ha fatto diminuire notevolmente la produzione. Non solo in Polesine ma in tutto il bacino Padano. Non avendo la disponibilità di acqua, in tanti nell'incertezza hanno diminuito la superficie coltivata a riso, con le conseguenze di una minore disponibilità di prodotto e di prezzi andati su». 

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