Sui formaggi parte la sfida
del Veneto all'Unione europea

Sabato 11 Luglio 2015 di Daniela Boresi
Sui formaggi parte la sfida del Veneto all'Unione europea
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Cosa concorre a fare la differenza tra un formaggio e l’altro? Il latte e la mano del casaro. Ma se il latte è una polverina uguale per tutti come si farà ad assaporare il profumo dell’erba, il retrogusto importante dei paschi di pianura o quello aromatico di quelli di montagna? Organoletticamente ineccepibile, ma anche banalmente omologato.

"Giù le mani dai nostri formaggi" è una campagna a difesa dai quasi 600 prodotti nazionali, ma anche una crociata regionale che viaggia sui social network e che ha conquistato anche le sedi istituzionali. Il Veneto è tra i maggiori produttori di formaggio d’Italia. Vanta otto DOP (Asiago, Casatella Trevigiana, Grana Padano, Montasio, Monte Veronese, Piave, Provolone Valpadana, Taleggio). A scendere in piazza contro la direttiva europea (ora slittata a fine agosto) che pone fine al divieto di utilizzo di latte in polvere, latte concentrati e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, non è stata solo Coldiretti. Anche la Regione ha fatto la voce grossa e le associazioni dei consumatori: il rischio è infatti quello che nel mercato vengano immessi prodotti "omologati" a prezzi competitivi.

Il Veneto produce ogni anno solo con i Dop oltre 211 mila tonnellate di prodotti, la maggior parte dei quali va al mercato estero. Una risorsa, come sottolinea anche il neo assessore all’Agricoltura del Veneto Giuseppe Pan, che ha in previsione nei prossimi giorni proprio un incontro a Roma con il ministro dell’Agricoltura Martina e i colleghi assessori per trovare una soluzione alla norma europea. «Come regione stiamo anche valutando la possibilità di affrontare la questione dal punto di vista legislativo - spiega Pan - Quella di salvaguardare le nostre eccellenze è una priorità. Dietro al formaggio veneto ci sono diverse imprese che ruotano, compresa quella del "turismo gastronomico" e questa direttiva europea rischia di distruggere un sistema di qualità a scapito del profitto». E sono i numeri a dare una dimensione dell’allarme: con un chilo di latte in polvere infatti, costo sul mercato internazionale 2 euro, secondo le stime di Coldiretti, si producono 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt. Purtroppo tutto avrà lo stesso identico sapore perché viene a mancare quella distintività che viene solo dal latte fresco dei diversi territori. E iniziano ad alzare la voce anche i Consorzi. "L’Asiago Dop", uno dei prodotti più rappresentativi della regione ha garantito ad esempio che verrà utilizzato sempre e solo latte fresco.

«Il dibattito in corso – afferma Fiorenzo Rigoni, Presidente del Consorzio dell’Asiago – è un momento importante per riflettere su quale futuro immaginiamo per le produzioni casearie nel nostro Paese. Non prendiamocela, però, con la Commissione Europea per un tema che proprio l’Italia ha sollevato ma, piuttosto, rendiamoci conto che oggi più che mai, proprio le indicazioni geografiche comunitarie - tra cui i formaggi a Denominazione di Origine Protetta rientrano - rappresentano l'unica vera garanzia offerta al consumatore di acquistare un prodotto salubre, tracciabile, fatto con latte fresco».

Ancor più dura Coldiretti. Il via libera alla polvere di latte significherebbe aumentare la dipendenza dall’estero con la chiusura delle stalle, la perdita di posti di lavoro e l’abbandono delle montagne, dove il formaggio si fa con il latte vero. Per ogni centomila quintali di latte in polvere importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati solo in agricoltura - sottolina Coldiretti in uno studio - Ma c’è anche un costo ambientale, perché il processo di trasformazione del latte in polvere in quello fresco, comporta, per la re-idratazione, un elevato il consumo di acqua.
Ultimo aggiornamento: 12 Luglio, 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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