Massacrata dal compagno con 19 coltellate, ricostruite in aula le ultime ore di Aurelia

Giovedì 20 Gennaio 2022 di Cristina Antonutti
Aurelia Laurenti

UDINE - «Papà nooo...». Il grido squarcia più volte il silenzio di via Martin Luther King, a Roveredo in Piano alle 23.30 del 25 novembre 2020. Viviana Cannata e Cristian Bongardo, che vivono rispettivamente al civico 20 e 14, riconoscono oltre i muri la voce e il pianto di un bambino di 8 anni: è il figlio di Aurelia Laurenti, la mamma 32enne uccisa con 19 coltellate dal compagno Giuseppe Mario Forciniti, l’infermiere calabrese di 34 anni a processo per omicidio aggravato.

La loro testimonianza, raccolta in Corte d’assise a Udine, è la conferma che il piccolo - tutelato dalla parte civile rappresentata dall’avvocato Antonio Malattia - ha visto o almeno percepito l’orrore di cui è stata vittima la madre. Ieri il processo è entrato nel vivo con le testimonianze, le ricostruzioni e le immagini strazianti consegnate pubblicamente dal sostituto procuratore Federico Facchin, affinché i giudici popolari possano comprendere che cosa c’è dietro la tragedia consumata nel giorno dedicato alle iniziative contro la violenza sulle donne.

«MAMMA PERDONAMI»
È verso le 19 che la vicina sente Aurelia e il compagno litigare: «Sentivo soltanto lei, lui non l’ho quasi mai sentito». Probabilmente bisticciavano per una foto di famiglia che lui aveva pubblicato su una chat, come riferirà Giovanna Ferrante, madre dell’imputato, a sua volta contattata dal figlio verso sera. Alle 23.16 Aurelia è ancora viva, telefona a un’amica. Il medico legale Michela Frustaci colloca la sua morte tra le 23.30 e mezzanotte. Ed è alle 23.49 che Forciniti telefona alla madre in Calabria. «Ma' perdonami», le dice.

Lei percepisce qualcosa di grave nella voce, pensa che stia per suicidarsi. Comincia a piangere, è in panico, comincia a dire al marito Antonio Forciniti, anche lui infermiere, che devono raggiungere Pordenone. Gli fa richiamare il figlio. Giuseppe dice al padre che è successa una «cosa brutta, perdonami, ci sono stati i ladri, abbiamo avuto una lite. Aurelia è morta».

Il padre lo spinge ad andare dalla polizia e a raccontare tutto quello che è successo.

IN QUESTURA
Forciniti si costituisce a mezzanotte e quaranta. Ha ferite da taglio sulle mani e le scarpe sporche di sangue. Andrea Bevilacqua è il poliziotto della Squadra Volante che la sala operativa manda a Roveredo. La casa della coppia è immersa nel buio, l’unica luce arriva alla finestra superiore. Scavalca il cancelletto, con la torcia illumina l’interno attraverso la portafinestra della cucina. Bussa, nessuno risponde. «Ho sfondato la porta con un calcio - riferisce - In soggiorno c’erano i cartoni della pizza e le tazze. All’inizio delle scale ho cominciato a vedere gocce di sangue». Gocce
che si faranno più intense a mano a mano che sale e raggiunge il piano superiore. Parla di un silenzio irreale, poi scopre il corpo di Aurelia nella camera da letto, pancia in giù, sul collo ferite profonde e tanto sangue attorno. Sollecita i soccorsi, poi comincia a ispezionare ogni stanza con il cuore in subbuglio. Non sa ancora che i due bambini sono salvi, affidati a una zia, e teme il peggio. «Cercavo di capire se gli avesse fatto del male... Ho tolto tutti i cuscini e le coperte che c’erano nella culla».


LE INDAGINI
È il sovrintendente della Mobile, Renato Milan a riassumere gli accertamenti iniziali, mentre Forciniti, seduto accanto al suo legale Ernesto De Toni, annota tutto in un quadernone. Vengono sequestrati telefonini (l’iPhone della vittima non è mai stato aperto, anche se adesso secondo il consulente del Pm potrebbe esserci una chance), tablet, pc e chiavette Usb, oltre a diversi manoscritti, tra cui uno trovato sul comodino della camera in cui dormiva da solo Forciniti, scritto in stampatello dal figlio. L’indomani, in un cassonetto per la plastica di via Runces, viene ritrovato il coltello, 30 centimetri di lama. È compatibile, secondo quando riferito dal medico legale, con l’arma usata per infierire 19 volte contro la vittima.


L’AUTOPSIA
La crudezza delle immagini è indicibile. Aurelia aveva lesioni da punta e da taglio al collo, alla nuca e al volto: quattro sono le più gravi, profonde fino a sette centimetri, altre 14 dai 2 centimetri in su. Le hanno reciso carotide, giugulare e il tratto laringo-trachiale causandone la morte per asfissia e shock emorragico. È stato tutto così rapido che nessun avrebbe potuto salvarla. La dottoressa Frustaci è stata anche in grado ricostruire una possibile dinamica che attribuisce alla vittima un ruolo sia offensivo che difensivo. Dalle lesioni - compresi i lievi tagli da «difesa su mani» e addome di Forciniti - si ipotizza una colluttazione iniziale, dove il coltello è impugnato da Aurelia, forse durante una discussione cercava di allontanare il compagno. Quando il primo fendente l’ha raggiunta al collo lateralmente, entrambi impugnavano il coltello.


LA PSICOLOGA
Il movente del femminicidio? Si è cercato di capire le problematiche della coppia attraverso i genitori di Giuseppe e la psicologa Fernanda Puiatti, che 3 novembre 2020, 22 giorni prima del delitto, ha un colloquio con entrambi: «Forciniti voleva trovare un accordo per risolvere un problema legato a un tradimento avvenuto durante l’estate e in seguito al quale lei era tornata dai suoi genitori. Lui voleva recuperare il rapporto, lei si contraddiceva, disse che il compagno le faceva schifo, ma non voleva andar via di casa. Voleva un ambiente familiare sereno, ma non come coppia. Mi parlarono anche di un episodio in cui lei picchiò il compagno per i suoi rientri tardivi, lui manifestava anche preoccupazione per gesti di autolesionismo da parte della donna». Il 25 novembre, giorno dell’omicidio, Forciniti chiamerà la psicologa. Lei non ha potuto rispondere. Quando l’ha richiamato, qualche ora più tardi, non ha ricevuto risposta.

Ultimo aggiornamento: 18:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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