Assalti, spaccate e razzie: i tre della "Banda delle ruspe" condannati a 25 anni di carcere

Organizzati per vivere di furti e spaccate: ecco perché ai tre romeni sono stati inflitti 24 anni e 10 mesi a testa

Venerdì 23 Giugno 2023 di Cristina Antonutti
Assalti, spaccate e razzie: i tre della Banda delle ruspe condannati a 25 anni di carcere

PORDENONE - Spregiudicati, incuranti dei danni che hanno causato alle vittime, capaci di organizzare raid a catena con tanto di “pesca a strascico”, perché oltre agli assalti alle colonnine del self service dei distributori di benzina ne approfittavano per le spaccate nelle tabaccherie. Le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Pordenone ha condannato a 24 anni e 10 mesi di reclusione ciascuno i romeni Maricel Borsan, 27 anni, Marius Sociu (23) e Iulian Gicu Dobre (25) sono state depositate e chiariscono lo spessore criminale della banda delle ruspe.

Peraltro, il deposito è avvenuto a pochi giorni dall’approdo in udienza preliminare della seconda tranche dell’inchiesta del sostituto procuratore Federico Baldo, che alla banda contesta altri 122 capi di imputazione.


La banda

Tutti romeni, tutti senza lavoro. Secondo il collegio presieduto dal giudice Eugenio Pergola (a latere Francesca Vortali e Milena Granata), il processo ha dimostrato che i raid in Italia erano diventati il progetto di vita della banda, di cui anche le compagne erano a perfetta conoscenza, come emerge della intercettazioni telefoniche. Organizzavano le trasferte dalla Romania progettandole nei dettagli e individuando gli obiettivi, una volta portato a termine l’obiettivo, tornavano a casa. Così è stato per gli assalti a Porcia, San Vito, Martignacco, Arba o Roveredo in Piano. Insomma, una «scelta di vita», come evidenzia la sentenza.


Le prove

I giudici ritengono che non vi siano dubbi sulle responsabilità attribuite ai tre imputati. Agli atti ci sono intercettazioni telefonica, spostamenti ricostruiti attraverso i tabulati telefonici e tracce biologiche, come quelle trovate su un mozzicone di sigaretta o il Dna rilevato sul volante di una delle ruspe rubate per sdraricare le colonnine di un self service del Q8 di San Vito al Tagliamento o il volante di una delle auto rubate. Dalle intercettazioni emerge che Borsan e Dobre si trovavano negli stessi luoghi assieme a Stanica Broasca, il 27enne annegato nell’Isonzo mentre fuggiva a un inseguimento. Vi è poi una pa ziale confessione di Gicu. Ricostruiti anche il viaggi dalla Romania all’Italia, con il contributo dei controlli alle frontiere. 

Le modalità

Anche le abitudini della banda confermerebbero il motivo delle loro incursioni in Italia: il gruppo era guardingo, cercava di non dare nell’occhio, non pernottava in strutture ricettive e aveva il serbatoio dell’auto sempre pieno per poter far fronte alle urgenze. A Sociu è stato attribuito il ruolo di autista, quello che portava i complici in Italia, ne favoriva la fuga e la messa in sicurezza delle refurtiva. Agli altri è stato ritagliato un ruolo operativo. Spetta ora alle difese giovarsi la partita in Appello. Uno dei punti su cui insisteranno sarà sicuramente quello della continuazione, perché il Tribunale, sottolineando come tra «una trasferta, la cui durata dipendeva dal profitto ottenuto, e l’altra il rientro in patria degli imputati denota l’esaurimento del disegno criminoso delineate». I giudici hanno pertanto voluto punire la spregiudicatezza e la pericolosità della banda applicando la continuazione a “blocchi”, ovvero per ogni singola trasferta dalla Romania, abbuonando soltanto qualche aggravante.

Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 11:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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