Scandalo dei tamponi rapidi in Veneto, accusa sbagliata: rischia di saltare il processo

Venerdì 23 Febbraio 2024 di Marco Aldighieri
Scandalo dei tamponi rapidi in Veneto, accusa sbagliata: rischia di saltare il processo

PADOVA - Colpo di scena alla prima udienza del processo sul presunto scandalo dei tamponi rapidi. Il dibattimento, ieri mattina a Padova, è iniziato con il piede sbagliato: davanti al giudice del Tribunale monocratico, Laura Chillemi, è stato presentato il vecchio capo di imputazione e non quello modificato in sede di udienza preliminare. Un assist al bacio per le difese degli imputati: Roberto Rigoli, il primario dell'ospedale di Treviso che era stato chiamato a coordinare le microbiologie del Veneto, e Patrizia Simionato all'epoca dei fatti contestati direttrice generale di Azienda Zero. I legali Giuseppe Pavan e Alessandro Moscatelli hanno, inevitabilmente, sollevato un'eccezione.
Risultato, alla prossima udienza del 21 di marzo c'è il rischio concreto che il giudice deciderà di ritrasmettere gli atti al Gup. Se così sarà, il processo verrà annullato. In questo caso le strade percorribili saranno due: il Gup potrà decidere per il proscioglimento degli imputati, oppure rinviarli per la seconda volta a giudizio con un possibile rischio di prescrizione.
E del resto i fatti contestati risalgono all'estate del 2020.

La pandemia da Covid è esplosa giusto quattro anni fa. In Veneto il primo morto, per colpa del virus venuto dalla Cina, è stato il 78enne Adriano Trevisan di Vo' in provincia di Padova. Comune dei Colli euganei legato a filo diretto con Andrea Crisanti, ex professore di Microbiologia dell'Università di Padova e oggi senatore del Pd, autore in quel luogo di uno screening con i tamponi per studiare l'andamento del Covid nella popolazione. Ma soprattutto, anche autore dell'esposto che ha fatto partire l'inchiesta sui tamponi.

LO SVARIONE

Rigoli e Simionato sono accusati, in concorso tra loro, di falsità ideologica in atti pubblici commessa dal pubblico ufficiale e turbativa nel procedimento di scelta del contraente. Il dottor Rigoli deve anche rispondere del reato di depistaggio. In sede di udienza preliminare il pubblico ministero Benedetto Roberti, in un primo momento, ha accusato Rigoli di non avere effettuato uno studio tecnico clinico scientifico sull'idoneità dei tamponi rapidi Abbott. Ma in un secondo momento ha cambiato il tiro, sottolineando come Rigoli avrebbe dovuto svolgere una validazione clinica sui tamponi.
Un cambio di accusa, quest'ultimo, che avrebbe dovuto reggere l'intero capo di imputazione presentato in sede di dibattimento, ma così non è stato. Il legale Giuseppe Pavan, difensore del dottor Rigoli: «Il mio assistito non ha mai detto di aver effettuato uno studio scientifico, che non era nemmeno tenuto a fare visto che i tamponi antigenici erano marchiati e certificati CE/IVD, verificati dagli enti preposti, e quindi già regolarmente in commercio». E ancora: «C'è poi un problema di genericità. La stessa Procura ha ammesso di non essere riuscita a indagare sulla sensibilità dei tamponi in due anni, allora come si fa a rimproverare al singolo operatore di non esserci riuscito in soli due giorni. Essere imputati a un processo non è uno scherzo».

I FATTI

L'inchiesta ha avuto origine da un esposto del professor Crisanti presentato alla Guardia di Finanza di Padova nel novembre del 2020. Nel documento è stata posta in dubbio la sufficiente precisione dei test rapidi antigenici per il Covid 19 dell'azienda Abbott, perché adottati in ambito della Regione Veneto (che non si è costituita parte civile) nonostante il presunto difetto di una sperimentazione idonea.
Secondo l'accusa sarebbe stato alterato il procedimento amministrativo di affidamento diretto, gestito da Azienda Zero, alla società Abbott Srl di Milano, per una fornitura di 480 mila test rapidi, avvenuta in due tranche nell'agosto e nel settembre del 2020, per un importo totale di 2 milioni e 160 mila euro. La Procura non ha messo in dubbio l'efficacia dei tamponi, ma piuttosto ha contestato come Rigoli, incaricato dall'Azienda Zero di tale studio, avrebbe dichiarato contrariamente al vero di averlo effettuato, quando in realtà si sarebbe limitato a un riscontro di esiti numericamente minimo e privo di valore scientifico. Ancora per l'accusa poi Patrizia Simionato sarebbe stata pienamente consapevole della falsità della dichiarazione avendone ampiamente parlato con Rigoli come sarebbe dimostrato dalle intercettazioni ambientali e telefoniche.

Ultimo aggiornamento: 14:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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