PADOVA - Sono le armi da fuoco il nuovo elemento su cui si focalizzano le indagini sull'omicidio di Matteo Toffanin, il 23enne di Ponte San Nicolò freddato a colpi di fucile e pistola la sera del 3 maggio 1992 in via Tassoni alla Guizza. Lo scorso febbraio la Procura di Padova ha riaperto il cold case dopo 31 anni e nel registro degli indagati sono stati iscritti i nomi di due padovani che furono legati alla Mala del Brenta: Andrea Batacchi, 60 anni, e Sergio Favaretto, oggi 69enne. In questi mesi il pubblico ministero Roberto D'Angelo, titolare della nuova inchiesta, ha interrogato molte persone, inclusi l'ex boss della Mala Felice Maniero e diversi dei suoi vecchi fiancheggiatori. L'unico vero punto considerato assodato sia dall'indagine odierna che da quelle degli anni Novanta è infatti la convinzione che Toffanin in quella notte di sangue fu ucciso per uno scambio di persona e un regolamento di conti al posto dell'oggi settantunenne Marino Bonaldo, anch'egli con legami con il mondo della mafia veneta.
I possibili sviluppi: si guarda alle armi
Di recente il pubblico ministero ha ottenuto l'autorizzazione per delegare la Squadra mobile della questura a ottenere dalla Procura di Venezia alcuni fascicoli d'indagine risalenti agli anni Novanta, in particolare tra il 1992 e il 1996. Documenti legati ad alcune delle tante inchieste curate da Francesco Saverio Pavone, l'allora magistrato divenuto celebre proprio per la sua lotta senza riserve contro la Mala del Brenta. In quegli incartamenti si cerca qualcosa di molto preciso: verranno infatti analizzati i fascicoli relativi ai sequestri di armi e munizioni sottratte alla mafia veneta.
Le ipotesi investigative
La volontà della Procura è dunque capire se negli anni dopo il delitto siano state sequestrate alla Mala delle armi con caratteristiche compatibili con i proiettili esplosi la notte dell'omicidio. Le prime indagini avviate dopo il delitto avevano propeso per la pista della malavita del Sud Italia: i sospettati all'epoca gravitavano infatti attorno alla malavita organizzata siciliana, anche a fronte dei tremendi attentati di mafia risalenti proprio al 1992. Già allora però si ipotizzò che Toffanin fosse divenuto il bersaglio di un agguato indirizzato a qualcun altro. A dare forza a questa convinzione fu anche un interrogatorio-fiume condotto da Pavone con Giuseppe Pastore, ex braccio destro di Maniero e poi collaboratore di giustizia. L'uomo infatti affermò che sì, il 23enne di Ponte San Nicolò era con tutta probabilità morto perché scambiato per Marino Bonaldo. Questa tesi è portata avanti con forza ancor oggi anche se lo stesso Bonaldo, ipotetica vittima designata, interrogato dal pubblico ministero a fine febbraio ha negato, sostenendo che i presunti sicari all'epoca lo conoscevano troppo bene per aver potuto sbagliare obiettivo.
L'omicidio di Toffanin
L'ipotesi investigativa regina è che quella notte due sicari (si ipotizza proprio Batacchi e Favaretto) tesero un agguato in via Tassoni dove, al civico 11, viveva Bonaldo. A tarda sera, vedendo parcheggiare una Mercedes 190 bianca sotto al lampione dove posteggiava sempre Bonaldo, avevano aperto il fuoco, crivellando di colpi l'abitacolo per poi fuggire. Quella però non era l'auto di Bonaldo. Erano uguali il modello e il colore, persino i primi tre numeri della targa, ma a bordo c'erano due giovani innamorati. Erano Matteo Toffanin e Cristina Marcadella, di ritorno da una giornata al mare a bordo dell'auto prestata al ragazzo dallo zio perché quel giorno la sua Lancia era rimasta in panne. Il 23enne aveva accompagnato a casa la fidanzata, che viveva nel condominio di fronte a quello di Bonaldo. Bonaldo invece quella sera l'aveva passata ad Abano con una donna. Al ritorno erano stati fermati per un controllo dai carabinieri: una coincidenza che li aveva fatti tardare, forse firmando la condanna di Toffanin, la cui morte dopo quasi 32 anni resta ancora senza colpevoli.