Dalle scarpe ai tedeschi, alla clinica e all'azienda agricola: ecco l'impero Zanchi

Lunedì 7 Marzo 2022 di Edoardo Pittalis
Giancarlo Zanchi con i figli
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POZZONOVO - Pozzonovo è nella Bassa Padovana, poi scorre l'Adige oltre il quale incomincia la terra del Po e conta solo la luce di quella che Gino Piva chiamava vecia luna polesana/ In tra l'Adese e l Po nostra lanterna. Una luna remenga che arriva fino al paese che deve il nome e il simbolo a un pozzo nuovo costruito nel 1866 dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. L'acqua e una terra buona per la patata dolce, americana. Buona anche per aver dato i natali a una madre della Repubblica, la senatrice socialista Lina Merlin, che ha dettato l'articolo 3 della Costituzione: Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di sesso. La stessa che dopo una battaglia lunga dieci anni ha fatto chiudere i casini.
A metà degli Anni Cinquanta Pozzonovo si trasformò in una specie di paese di Don Camillo e Peppone. La parrocchia contro le sezioni comuniste, finì davanti ai giudici con accuse infamanti. Don Cesare Morosinotto, il parroco, denunciò ai carabinieri un piano infernale di dissacrazione della fanciullezza messo in atto dalla sezione del Pci. Un magistrato fin troppo realista lo definì sabba satanico nella sentenza di rinvio a giudizio. I cinque imputati, due donne, furono assolti con formula piena dal Tribunale di Padova, assoluzione confermata in appello a Venezia. Quelli erano tempi di guerra fredda, lotte di braccianti, grandi passioni, ricostruzione e speranze. Da allora Pozzonovo non ha fatto scalpore.
Ma quella luna remenga deve avere una forte attrattiva se Giancarlo Zanchi, 82 anni, non ha mai voluto lasciare il suo paese.

Oggi guida un piccolo impero costruito nel tempo: una fabbrica di moda, una clinica privata, un'azienda agricola. La prima è la GGZ, tre centri di produzione, 120 dipendenti, 65 milioni di euro di fatturato. La Medi-Clinic ha 42 dipendenti, 170 liberi professionisti, 32 mila pazienti l'anno, quasi 9 milioni di fatturato. Infine, 150 ettari di terra che producono vini bianchi e rossi perché la terra buona per la patata dolce è buonissima per la vite. E un contratto di vent'anni con la Ferrero per le nocciole. Tutto è nato a Pozzonovo con un banchetto di scarpe e sandali che d'estate si vendevano sulle spiagge quando arrivavano i turisti tedeschi.


Signor Zanchi come ha costruito la sua fortuna commerciale?
«Sono nato a Milano perché papà Fortunato e mamma Augusta si erano trasferiti per lavoro. Mio nonno era troppo buono e aveva nove figli, i maggiori hanno speso quello che aveva e i più giovani sono stati costretti a emigrare. Il nonno aveva anche una macelleria, io ho vissuto più con i nonni che con i genitori. Allora già avere da mangiare era una partita vinta. I nonni hanno incominciato a portarmi al mercato che avevo 11 anni. Ho fatto solo la quinta elementare, le prime tre classi le avevo frequentate a Milano, in classe con me c'era la mia futura moglie, ci siamo conosciuti da bambini ed è finita col matrimonio. Quando i miei sono tornati, hanno aperto un forno e io a 15 anni dovevo gestire la vendita del pane e badare ad altre attività: vendevamo mobili usati, la gente in casa allora aveva la botticella per conservare il vino e noi avevamo anche le botti. Poi d'estate col banco delle scarpe aprivano un mercatino nelle spiagge, a Jesolo, a Caorle, a Cavallino, sino ai Lidi Ferraresi: tutta la zona con i tedeschi che erano i clienti maggiori».


Lei ha iniziato con le scarpe vendute ai tedeschi?
«A 18 anni ho incominciato col mercato per le spiagge dopo che i nonni si erano ritirati. Eravamo tre fratelli, tutti con lo stesso furgone. I tedeschi chiedevano anche scarpe eleganti, ma soprattutto quelle che oggi chiamiamo da tracking. Compravamo dagli artigiani della Riviera del Brenta, specie da Fiesso d'Artico, ma anche da quelli di Fiesso Umbertiano. Mi sono sposato a 25 anni, mia moglie Gabriella aveva un laboratorio di maglieria col fratello e andava nelle case a insegnare alle famiglie come usare le macchine per lavorare a maglia. Lo faceva prima ancora dei Benetton: andava in Germania, comprava i telai per le calze e li trasformava in telai per maglieria. Con la crescita dei figli la maglieria si è trasformata in fabbrica di tessuti, gonne, giacche, pantaloni Abbiamo incominciato in una stanza, siamo arrivati a capannoni di cinquemila metri e ad aprire tre centri di produzione. Oggi c'è la GGZ, nata nel 1966, Giancarlo e Gabriella Zanchi».


Sempre e soltanto Pozzonovo?
«Il cuore e l'azienda non si sono spostati. Ora abbiamo tre marchi nostri, facciamo dal cappotto alla T-shirt, compresa la linea uomo. Dirige mio figlio Massimo che lavora con i fratelli Roberto e Alessandro. Il punto vendita maggiore è Bologna. Siamo stati bravi in periodo di pandemia a non farci travolgere, abbiamo accantonato il non venduto e prodotto modelli nuovi. La pandemia non ha cambiato i gusti, nemmeno i colori, ha aggiunto la forza dell'e-commerce. È come la frutta e la verdura la moda, quando l'hai messa fuori e l'hanno vista o te la comprano o la puoi mettere via. Arrivano in fabbrica le nostre nuove generazioni, ho quattro nipoti femmine: Alessia è già inserita, ora tocca a Martina che si sta laureando in Farmacia; Elisa e Ginevra sono ancora a scuola».


Come si passa dalla moda alla sanità?
«Non mi piace stare fermo, nel 2003 ho deciso di affidare la moda ai figli. Ero in vacanza in Andalusia e ho incontrato Sergio Bosa. Sono presidente del Calcio Pozzonovo da 40 anni, ci hanno giocato due miei figli, Massimo e Alessandro e quando prendevano un po' di botte li portavo, con gli altri giocatori, allo studio di Bosa. Ho pensato che forse si poteva puntare sulla fisioterapia e strada facendo è nato qualcosa di diverso e di molto più grande. Ecco Medi-Clinic, naturalmente sempre a Pozzonovo: avevo un grande capannone perché c'era molto lavoro per la Cina e con i cinesi, volevo creare laboratori moderni, invece ho cambiato tutto. La clinica ha quattro linee fondamentali, due sale chirurgiche, la diagnostica per immagini, poliambulatori e sale di riabilitazione. Abbiamo oltre 600 pazienti al giorno. Restiamo privati puri. Per inaugurarla è venuto Zanardi».


Sergio Bosa lei hai un passato da fisioterapista nel grande calcio?
«Ho lavorato per il Torino calcio e per la Juventus come fisioterapista e anche per il tennis professionistico. Nella squadra granata ho curato Marchegiani, Mussi, Martin Vasquez. Il primo centro l'ho aperto negli Anni '90 ad Orbassano dove c'era la Juventus, ho collaborato con la Juve di Maifredi nella quale c'era anche Roberto Baggio. Ho rimesso in campo Pierluigi Casiraghi dopo l'intervento alle due spalle lussate. Quella è stata la mia giornata di gloria, Casiraghi mi ha dedicato pubblicamente il suo gol contro il Napoli, i giornali parlarono di me come del mago che lo aveva guarito. Poi ho lavorato con la federazione del tennis, ho curato Paolo Canè e Pescosolido. Fino a quando in Spagna ho incontrato Zanchi e abbiamo fatto società, la nostra collaborazione nasce proprio dall'amicizia. Siamo stati clinica per il Venezia calcio e per il Padova calcio. Per Filippo Magnini e molti della nazionale di nuoto. Curiamo anche gli americani della caserma Ederle di Vicenza».


Signor Zanchi, rimane l'azienda agricola?
«Questa è nata cinque anni fa e sempre a Pozzonovo, i figli mi chiedevano di investire anche sulla terra e io ho obbedito, non nascondo che la cosa mi faceva piacere. Sono 150 ettari di terreno, 14 coltivati a vigneto, produciamo vino di vari tipi: bollicine e Pinot, adesso anche Cabernet perché da queste parti il terreno è molto buono, è quello della patata americana. E c'è una bella novità: stiamo facendo 40 ettari di nocciole per la Ferrero, un contratto di vent'anni».
 

Ultimo aggiornamento: 8 Marzo, 10:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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