Il duo comico Le Bronse Querte, da 40 anni sulla scena senza limiti: «Il successo nazionale? Meglio la platea locale»

Mercoledì 26 Aprile 2023 di Silvia Quaranta
IL DUO COMICO - Le Bronse Querte raccontano quarant'anni di carriera

PADOVA - Un gruppo di amici, la parrocchia di San Carlo, la passione per le canzoni popolari e il gusto della satira. Inizia così una storia lunga quasi quarant’anni: quella delle “Bronse Querte”, uno dei gruppi cabarettistici più noti del Veneto, che negli anni d’oro aveva conquistato notorietà anche a livello nazionale.

A raccontarcela Remigio Ruzzante, anima del duo comico con l’inseparabile amico e collega Roberto Soldan, insieme al quale è stato nominato “padovano eccellente” nel 2008.


Dove muovono i primi passi le “Bronse Querte? 
«Al patronato di San Carlo, che al tempo era l’Arcella più popolare. Eravamo ragazzi, ci si trovava in gruppo e si faceva soprattutto musica. Avevamo creato un complessino, facevamo ricerca sulle canzoni popolari e le riproponevamo nella nostra versione, intermezzando con delle presentazioni. Funzionava bene, così ad un certo punto abbiamo deciso di farci vedere da un paio di registi della Fita, la Federazione italiana teatro amatori. In occasione dei provini, ci parlano di un gruppo di Milano, i “Gufi”, dicendo che ricordavamo loro».


E voi?
«Non avevamo idea di chi fossero, quindi c’era una sola cosa da fare: andare a cercarli. Volevamo conoscerli ed è esattamente quello che abbiamo fatto, iniziando a seguirli ovunque. I Gufi erano famosissimi in tutta la Lombardia, facevano un cabaret molto duro, di satira. Ed era esattamente quello che volevamo fare anche noi. Del resto a recitare non eravamo buoni, a cantare neanche. Potevamo fare solo cabaret, dove anche se sbagli l’errore suscita comunque una risata». 


E così nacquero le Bronse… 
«Un nome che ci ha portato fortuna. Il periodo era favorevole perché non c’era concorrenza, nei primi anni Settanta quasi nessuno faceva cabaret. In televisione c’erano Grillo e Troisi e fiorivano le richieste anche nei locali. Accanto ai giganti, qualcuno cercava proposte meno impegnative dal punto di vista economico. E lì c’eravamo solo noi. Il nome ci ha dato una mano: letteralmente, le “bronse querte” sono le braci ancora accese e calde, coperte solo da un sottile strato di cenere. Basta spostarle un poco e il fuoco si riattizza. L’espressione è molto popolare, suona nell’orecchio delle persone e questo ci ha dato un grande aiuto. Quando ci presentavamo tutti avevano l’impressione di conoscerci già, anche se all’inizio non eravamo nessuno». 


Avete mai avuto problemi per il contenuto degli spettacoli? 
«Qualche volta sì. Avevamo un linguaggio molto libero e anche nei temi trattati non avevamo filtri: parlavamo di attualità, politica, sesso, tutto. E lo facevamo dando contro al potere e alle convenzioni, anche contro un certo perbenismo, un certo modo di essere veneti, alla “si fa ma non si dice”. Questo ci ha creato qualche problema: dove, ad esempio, i teatri erano legati alle parrocchie ci chiedevano di poter leggere i testi in anticipo, c’erano equilibri delicati e avevano sempre un po’ paura di cosa avremmo potuto tirar fuori. D’altro canto, però, proprio il fatto di parlare così liberamente di tutto ci ha aperto le porte delle radio libere, che si andavano diffondendo. Siamo entrati con una striscia sulla Rai locale e in poco tempo siamo arrivati anche alle radio nazionali, conquistando in poco tempo una certa notorietà». 


Non avete mai cercato la scena nazionale? 
«Ad un certo punto ci siamo posti il problema e abbiamo scelto di non farlo. La nostra popolarità cresceva, giravamo molti teatri, l’occasione c’era. Ma potevamo scegliere se essere un gruppo fra i tanti a livello nazionale o il punto di riferimento a livello locale. E abbiamo scelto questa seconda strada: qui eravamo i figli e fratelli di tutti, le persone ci avevano in simpatia ovunque. Ci siamo tolti molte soddisfazioni a livello nazionale, ma la scena di riferimento è sempre stata quella veneta».


Come fate a capire se una battuta farà ridere o no? 
«Non è sempre facile, a volte la provi e pensi “questa spacca!” ma in realtà la certezza ce l’hai solo con il riscontro del pubblico. E ci sono battute che fanno ridere sempre, tantissimo, anche ripetute cento volte, e altre che invece hanno una “vita” limitata. Anche l’ambiente influisce: se ci sono dieci persone è più difficile rompere il ghiaccio, se ce ne sono 500 è più semplice. Diciamo comunque che ci sono delle tecniche, sia di scrittura sia per porgere la battuta. Noi poi siamo sempre stati un duo, quindi fra noi lo scambio era continuo». 


Ci regala una battuta di quelle che funzionano sempre? 
«Adesso al Governo vogliono farme fare 35 ore. A noaltri veneti vogliono farme fare 35 ore? Co xe marti ghemo già finio, cosa femo par el resto dea settimana? I sindacati dixe “lavorare meno, lavorare tutti”. Noialtri dixemo “lavorare in nero par ciaparli tutti”!».

Ultimo aggiornamento: 17:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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