PONTE/LONGARONE (BELLUNO) «La mafia, in questi territori, c’era già sessant’anni fa». Don Luigi Ciotti scuote le coscienze.
STRAGE DI STATO
Don Luigi ha ricordato con orgoglio le sue origini bellunesi. Più precisamente, cadorine: «Questa tragedia ha coinvolto la nostra terra, ci ha portato via persone care, affetti, amori. Quasi duemila morti. E tanti non sono mai stati ritrovati. Tanti, sì. Ora si trovano nella valle del Piave: una valle che è sacra». E in cui il rispetto è stato calpestato. Anche verso chi è scampato alla terribile ondata: «I sopravvissuti non hanno avuto giustizia, ma al massimo simbolici e consolatori risarcimenti». Il fondatore di Libera è netto: «Non è esagerato definirla strage di Stato. Di conseguenza, dobbiamo impegnarci a portare il contributo di cittadini e di associazioni, a raddrizzare le antenne, a collaborare con le istituzioni, a essere attenti. Perché la mafia è presente: rimane sotto traccia, ma c’è».
L’ESEMPIO DI TINA
Meglio affidarsi, allora, a chi ha illuminato la via, attraverso la parola scritta. Come Tina Merlin: «Questa grande e generosa giornalista si è battuta con forza. Aveva avvertito, attraverso i suoi articoli, che il monte Toc si muoveva. Eppure scienziati, geologi e tecnici hanno falsificato le carte e nascosto documenti per garantire il potere economico e difendere il profitto. Tina Merlin, a differenza di altri suoi “colleghi”, ha avuto coraggio». A contatto con i ragazzi e i bambini delle scuole, il sacerdote si rasserena: «Cogliamo la bellezza, facciamo emergere le positività. È la cultura che dà la sveglia alle coscienze. È l’educazione che è generatrice di cambiamenti. È la scuola che arricchisce la collettività e permette di avere più conoscenza. E, di riflesso, invita a essere più consapevoli. La stessa consapevolezza ci impone di fare una scelta: quella di assumerci maggiormente la nostra parte di responsabilità».
L’INDIFFERENZA
Serve un scatto in avanti. Da parte di chiunque, nessuno escluso: «La società che desideriamo ha bisogno del contributo di ciascuno di noi. E invece sono emersi dati sconcertanti dagli ultimi sondaggi: oggi, nel nostro Paese, a fare la differenza è l’indifferenza. Nella stragrande maggioranza degli italiani si è passati da una percezione del crimine “organizzato” a un’altra del crimine “normalizzato”. Il cancro mafioso, in tutte le sue articolazioni, è diventato uno dei tanti problemi. Capito? Uno dei tanti. Come la droga. Ma non può essere così: i mafiosi intercettati, e trafficanti di sostanze, dicevano di voler abbassare i prezzi per catturare più clienti. Insomma, le persone diventano merce: si fa mercato sulla pelle della gente, di tanti giovani. No, non può essere un problema qualunque».
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