Fortogna, don Ciotti ricorda la tragedia del Vajont: «La mafia c’era già 60 anni fa»

Mercoledì 20 Settembre 2023 di Marco D'Incà
Fortogna, don Ciotti ricorda la tragedia del Vajont: «La mafia c’era già 60 anni fa»

PONTE/LONGARONE (BELLUNO) «La mafia, in questi territori, c’era già sessant’anni fa». Don Luigi Ciotti scuote le coscienze.

Lo fa con la profondità e la perentorietà della sua voce. E del suo pensiero. Lo fa da una terra che non esita a definire “sacra”. Lo fa, in una mattinata ricca di significati, da Ponte nelle Alpi prima e Longarone poi. O meglio, da Fortogna: dal cimitero intitolato alle vittime del Vajont. Lo fa a sessant’anni dal disastro del 9 ottobre. Un disastro con un’impronta che il fondatore di Libera - l’associazione in prima linea, dal 1995, contro le mafie - conosce fin troppo bene: «La logica mafiosa non è solo quella delle organizzazioni criminali, ma anche quella del potere. Soprattutto nel momento in cui si nasconde dietro a manipolazioni e menzogne. Come nel caso del Vajont». 

STRAGE DI STATO 

Don Luigi ha ricordato con orgoglio le sue origini bellunesi. Più precisamente, cadorine: «Questa tragedia ha coinvolto la nostra terra, ci ha portato via persone care, affetti, amori. Quasi duemila morti. E tanti non sono mai stati ritrovati. Tanti, sì. Ora si trovano nella valle del Piave: una valle che è sacra». E in cui il rispetto è stato calpestato. Anche verso chi è scampato alla terribile ondata: «I sopravvissuti non hanno avuto giustizia, ma al massimo simbolici e consolatori risarcimenti». Il fondatore di Libera è netto: «Non è esagerato definirla strage di Stato. Di conseguenza, dobbiamo impegnarci a portare il contributo di cittadini e di associazioni, a raddrizzare le antenne, a collaborare con le istituzioni, a essere attenti. Perché la mafia è presente: rimane sotto traccia, ma c’è». 

L’ESEMPIO DI TINA 

Meglio affidarsi, allora, a chi ha illuminato la via, attraverso la parola scritta. Come Tina Merlin: «Questa grande e generosa giornalista si è battuta con forza. Aveva avvertito, attraverso i suoi articoli, che il monte Toc si muoveva. Eppure scienziati, geologi e tecnici hanno falsificato le carte e nascosto documenti per garantire il potere economico e difendere il profitto. Tina Merlin, a differenza di altri suoi “colleghi”, ha avuto coraggio». A contatto con i ragazzi e i bambini delle scuole, il sacerdote si rasserena: «Cogliamo la bellezza, facciamo emergere le positività. È la cultura che dà la sveglia alle coscienze. È l’educazione che è generatrice di cambiamenti. È la scuola che arricchisce la collettività e permette di avere più conoscenza. E, di riflesso, invita a essere più consapevoli. La stessa consapevolezza ci impone di fare una scelta: quella di assumerci maggiormente la nostra parte di responsabilità». 

L’INDIFFERENZA 

Serve un scatto in avanti. Da parte di chiunque, nessuno escluso: «La società che desideriamo ha bisogno del contributo di ciascuno di noi. E invece sono emersi dati sconcertanti dagli ultimi sondaggi: oggi, nel nostro Paese, a fare la differenza è l’indifferenza. Nella stragrande maggioranza degli italiani si è passati da una percezione del crimine “organizzato” a un’altra del crimine “normalizzato”. Il cancro mafioso, in tutte le sue articolazioni, è diventato uno dei tanti problemi. Capito? Uno dei tanti. Come la droga. Ma non può essere così: i mafiosi intercettati, e trafficanti di sostanze, dicevano di voler abbassare i prezzi per catturare più clienti. Insomma, le persone diventano merce: si fa mercato sulla pelle della gente, di tanti giovani. No, non può essere un problema qualunque». 

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