VENEZIA - I tentacoli della Piovra possono essere lunghi anche 1.500 chilometri, srotolandosi dal golfo di Palermo fino a raggiungere le vette delle Dolomiti. Era in provincia di Belluno uno degli 11 destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare, disposta dal Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, che è stata eseguita all'alba di ieri, 12 luglio, nell'ambito di una maxi-inchiesta per i reati di associazione mafiosa, tentato omicidio aggravato, estorsione con l'aggravante del metodo e delle modalità mafiosi. Si chiama Matteo Pandolfo, ha 47 anni e ora si trova recluso nella casa circondariale di Baldenich, da dove domani in videoconferenza sarà sottoposto all'interrogatorio di garanzia, nel quale potrà difendersi dall'accusa di aver costretto un ristoratore a pagare il racket.
IL TIMORE
Nell'occasione Pandolfo avrà anche la possibilità di chiarire perché si trovasse nel Bellunese, quando è stato catturato dai carabinieri del reparto operativo di Palermo, i quali con l'operazione "Metus" (timore in latino) hanno portato in prigione pure Michele Micalizzi e cioè colui che è considerato lo storico uomo d'onore della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, ricompresa nel mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale.
Secondo la contestazione, Pandolfo insieme agli altri arrestati Amedeo Romeo e Rosario Gennaro avrebbe obbligato Nabli Abderraouf, titolare del ristorante "Ai sapori del golfo" situato nel borgo marinaro di Sferracavallo, al versamento periodico di una somma di denaro pari a 100 euro, quale corrispettivo per sottrarre il proprio locale a furti e danneggiamenti. «Si perpetua il vecchio e spregevole sistema - scrive il gip Pilato - secondo cui l'imposizione estorsiva costituisca l'unica alternativa perché gli esercenti possano svolgere le proprie attività, con un paradossale affidamento sulle capacità della famiglia mafiosa di fornire sicurezza e protezione».
I FRUTTI DI MARE
Ma i presunti mafiosi non si sarebbero limitati a calare dall'alto, dietro pagamento obbligato, i servizi di vigilanza. Ai ristoratori di Mondello e Sferracavallo sarebbero infatti state imposte pure le forniture di pesce e frutti di mare. Stando alla ricostruzione della Dda, gli indagati avrebbero promosso, organizzato e diretto il sodalizio criminale, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, allo scopo di commettere delitti, acquisire in modo diretto e indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, nonché realizzare «profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri e per impedire e ostacolare il libero esercizio del voto, nonché per procurare voti a sé e ad altri in occasione di consultazioni elettorali». Eloquente una frase intercettata a Gennaro, accusato di aver preteso il pizzo insieme a Pandolfo: «Volevo arrivare all'intento che si devono spaventare a Sferracavallo di me ci sono arrivato».