I tentacoli della mafia a Belluno: un arresto per il pizzo ai ristoratori

Giovedì 13 Luglio 2023 di Angela Pederiva
Il carcere di Belluno

VENEZIA - I tentacoli della Piovra possono essere lunghi anche 1.500 chilometri, srotolandosi dal golfo di Palermo fino a raggiungere le vette delle Dolomiti. Era in provincia di Belluno uno degli 11 destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare, disposta dal Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, che è stata eseguita all'alba di ieri, 12 luglio, nell'ambito di una maxi-inchiesta per i reati di associazione mafiosa, tentato omicidio aggravato, estorsione con l'aggravante del metodo e delle modalità mafiosi. Si chiama Matteo Pandolfo, ha 47 anni e ora si trova recluso nella casa circondariale di Baldenich, da dove domani in videoconferenza sarà sottoposto all'interrogatorio di garanzia, nel quale potrà difendersi dall'accusa di aver costretto un ristoratore a pagare il racket.

IL TIMORE
Nell'occasione Pandolfo avrà anche la possibilità di chiarire perché si trovasse nel Bellunese, quando è stato catturato dai carabinieri del reparto operativo di Palermo, i quali con l'operazione "Metus" (timore in latino) hanno portato in prigione pure Michele Micalizzi e cioè colui che è considerato lo storico uomo d'onore della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, ricompresa nel mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale.

Complessivamente sono 8 le misure di custodia in carcere e 3 quelle ai domiciliari con l'applicazione del braccialetto elettronico. Le richieste del procuratore Maurizio De Lucia e dall'aggiunto Marzia Sabella sono state accolte dal giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato, il quale nella sua ordinanza parla dell'intento «di Cosa nostra di mantenere il pieno controllo del territorio e di confermarsi come unico soggetto in grado di garantire protezione ai commercianti in cambio del pagamento del pizzo».

Secondo la contestazione, Pandolfo insieme agli altri arrestati Amedeo Romeo e Rosario Gennaro avrebbe obbligato Nabli Abderraouf, titolare del ristorante "Ai sapori del golfo" situato nel borgo marinaro di Sferracavallo, al versamento periodico di una somma di denaro pari a 100 euro, quale corrispettivo per sottrarre il proprio locale a furti e danneggiamenti. «Si perpetua il vecchio e spregevole sistema - scrive il gip Pilato - secondo cui l'imposizione estorsiva costituisca l'unica alternativa perché gli esercenti possano svolgere le proprie attività, con un paradossale affidamento sulle capacità della famiglia mafiosa di fornire sicurezza e protezione».

I FRUTTI DI MARE
Ma i presunti mafiosi non si sarebbero limitati a calare dall'alto, dietro pagamento obbligato, i servizi di vigilanza. Ai ristoratori di Mondello e Sferracavallo sarebbero infatti state imposte pure le forniture di pesce e frutti di mare. Stando alla ricostruzione della Dda, gli indagati avrebbero promosso, organizzato e diretto il sodalizio criminale, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, allo scopo di commettere delitti, acquisire in modo diretto e indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, nonché realizzare «profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri e per impedire e ostacolare il libero esercizio del voto, nonché per procurare voti a sé e ad altri in occasione di consultazioni elettorali». Eloquente una frase intercettata a Gennaro, accusato di aver preteso il pizzo insieme a Pandolfo: «Volevo arrivare all'intento che si devono spaventare a Sferracavallo di me ci sono arrivato».

      

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