"Il fuoco sapiente", Toni Servillo sul palco a Bassano: «Un antidoto alla paralisi del pensiero»

Martedì 6 Settembre 2022 di Chiara Pavan
TEATRO Toni Servillo in scena a Bassano con "Il fuoco sapiente"

La poesia come antidoto alla paralisi del pensiero. Come forma possibile di vita. Un “fuoco sapiente” che ci è stato donato dai greci, ma che abbiamo ormai perduto, immersi nel «sonno dei prigionieri», come diceva Platone, ma senza più catene, perché «le catene siamo noi stessi». Toni Servillo è restio a raccontarsi, tanto più adesso che il carismatico attore, inserito dal New York Times tra i 25 più grandi del XXI secolo, sta costruendo il suo ritorno a teatro post-pandemia, un progetto che culminerà il prossimo anno al Piccolo di Milano e poi a Napoli («preferirei parlarne a suo tempo»), e che intanto approda a Bassano, in prima regionale l’8 settembre alle 21 al Castello Tito Gobbi ospite dei Operaestate. “Fuoco sapiente”, prima parte di un viaggio poetico scritto per lui dal romanziere e filosofo napoletano Giuseppe Montesano, «spazia dai greci a Dante per arrivare a Baudelaire - spiega l’attore - quella di Bassano sarà riflessione sulla cultura dei greci, terra interiore da cui siamo venuti noi contemporanei.

Hanno inventato per noi il teatro e filosofia, hanno acceso il fuoco della bellezza nella poesia, nell’eros e nella conoscenza, un fuoco che ha creato un’intera civiltà, la nostra».

In scena come si traduce?

«È soprattutto un viaggio che faccio con lo spettatore nella poesia come una forma possibile della nostra vita. Un viaggio che vuole essere un antidoto alla paralisi del nostro pensiero. A questa specie di “non vita” che ingoia tutti i giorni».

E come lo affronterà?

«Sarà come un pensare ad alta voce con il pubblico, una riflessione recitata. I testi spaziano da Platone a Socrate, Saffo, Archiloco, Omero, Epicuro».

Le mancava il teatro dopo un anno ricco di film importanti, da “E stata la mano di dio” di Sorrentino a “Qui rido io” di Martone, “Ariaferma” di De Costanzo fino a “Esterno notte” di Bellocchio?

«Non l’ho mai abbandonato, l’ho sempre alternato al cinema con costanza quasi maniacale, fino alla pandemia che h. a bloccato tutto. Adesso sentivo l’esigenza di convocare il pubblico incontro a un argomento importante: sentirsi vivi attraverso la poesia».

Mai come ora necessario.

«Esatto: adesso che sacrifichiamo anima e pensiero al totem elettronico che ci deruba della nostra vita. Vivono per noi le nostre memorie esterne, gli avatar digitali, vivono della nostra morte».

Sono in arrivo anche nuovi film, “Il primo giorno della mia vita” diretto da Paolo Genovese, poi “Ritorno di Casanova” con con Salvatores, e “La Stranezza” di Roberto Andò accanto a Ficarra e Picone.

«Dopo aver interpretato Scarpetta per Martone, ecco un altro personaggio del teatro con un regista che ama il teatro. Con Andò sarò Pirandello accanto a Ficarra e Picone: loro sono in una veste sorprendente e originale, sono bravissimi, sarà una sorpresa anche per il pubblico che è tanto è affezionato a loro. Con Salvatores abbiamo girato in Veneto tra Venezia e Verona, è la storia di un celebre regista che intraprende la sua ultima, tormentata, opera, tratta dall’omonimo racconto di Arthur Schnitzler. Con Genovese sono una specie misterioso personaggio sospeso tra realtà e ultra-realtà».

L’anno scorso aveva ben tre film alla Mostra del Cinema.

«Un anno fortunato: non sempre si ha l’opportunità di lavorare in tre film così belli e presentarli in un contesto così prestigioso come Venezia, sono stati giorni entusiasmanti. Ma non ho mai avuto l’intenzione di abbandonare il teatro: non a caso ho girato film con registi che amano il teatro, che lo fanno. Martone e Andò parlano il teatro molto dal di dentro anche attraverso le figure di Scarpetta e Pirandello. Penso che in questo momento sia essenziale che il cinema guardi ad autori importanti del nostro teatro: è un riconoscimento anche al teatro».

Ci sono più spettatori a teatro che al cinema.

«La spiegazione che mi do è che nelle situazioni difficili attraversate dalla società, il teatro resta sempre un luogo in cui il raccogliersi: dona conforto, ci si raccoglie per partecipare insieme a una liturgia. Il teatro prevede una presenza viva, scalda, ci fa sentire vicini. Il cinema resta sempre un’esperienza dal vivo, ma che si può anche vivere da soli. Forse per questo fatica di più adesso. Certo, c’è pure la concorrenza delle piattaforme. Ma io credo piuttosto che il teatro risponda all’esigenza di riunirsi insieme e riflettere: una liturgia dal vivo che ha il suo senso nel momento in cui accade. È un regalo che ci si fa».

Il teatro le è “venuto incontro” da ragazzo: con suo fratello Peppe, degli Avion Travel, siete cresciuti in una famiglia di spettatori.

«Mi hanno trasmesso questo stupore dell’assistere. E stupore significa lasciarsi rendersi disponibili a farsi incantare, a immaginare. Ma per immaginare ci vuole una testa libera». 

Ultimo aggiornamento: 17:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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