Sorrentino ha vinto e ha ragione
ma un Oscar non vale un Leone

Martedì 4 Marzo 2014 di Adriano De Grandis
Paolo Sorrentino, vincitore dell'Oscar
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VENEZIA - Fatta. E adesso basta polemiche, basta duelli su chi è per il capolavoro e chi per la mezza boiata, basta con questo perenne provincialismo italiano (che poi è quello che ci ha fatto anche vincere...). "La grande bellezza" porta a casa l’Oscar, 15 anni dopo Benigni. Stop.



Il resto è quasi nonsense. L’attesa è stata vissuta fin troppo in una sorta di discussioni da stadio, tra curve di ultrà opposti e questo non giova alla nostra reputazione, già abbondantemente compromessa. D’altronde è anche sorprendente che molti politici si siano affrettati, dopo la vittoria, a magnificare il film, quando la classe dirigente di Roma e di un’Italia intera è tra le grandi responsabili del "tradimento della bellezza", che è il tema centrale dell’opera di Sorrentino. Un po’ come quando Napolitano bacchettò il Parlamento e ne ricevette in cambio applausi scroscianti. È l’Italia, bellezza, direbbe qualcuno. Terra di tutti i paradossi.



Poi si sa: Paolo Sorrentino ha grande talento, ma spesso si prende il lusso di sprecarlo. Non vince con il suo film più riuscito (ma questo è un classico agli Oscar). Però molto hanno giocato, com’è risaputo per questo premio, promozioni e marketing oltre Oceano, indubbiamente impeccabili. Non che il valore del film sia un optional, ma ci sono fattori che possono diventare determinanti. È accaduto tante volte per film stranieri, non c’è niente di scandaloso. È la "natura" dell’Oscar. E poi è chiaro: se noi esportiamo l’Italia che si immaginano all’estero, Roma in primis, ecco che scatta il tributo popolare. Se poi c’è di mezzo un’eco di Fellini, è automatico. Il resto non conta. È successo più o meno recentemente per "Nuovo cinema Paradiso", "Mediterraneo", perché di là in America non li schioda nessuno da questo sterotipo, che "La grande bellezza", pur destabilizzandolo dall’interno, rappresenta. E mi sembra evidente il lungo piano-sequenza finale sui titoli di coda.



Tutto questo non è molto distante dai motivi che portano a dare l’Oscar al miglior film a "12 anni schiavo", che è il peggior film di Steve McQueen, altrove geniale autore e videoartista. Ma volete che al tempo di Obama, con un regista inglese e nero, non si premi un film, anche se sorprendentemente banalotto (a parte qualche attimo folgorante) sulla schiavitù, cioè il peccato originale americano? Certo che no. E poi volendo esagerare ecco il premio anche all’attrice non protagonista Lupita Nyong’o (ma dai, sul serio?) e la sceneggiatura non originale (qui forse è anche peggio).



Piace che un film come "Gravity" abbia trovato il suo trionfo (la regia di Alfonso Cuaron era impossibile non premiarla e con 7 statuette diventa il vero vincitore), ok anche per Cate Blanchett e Jared Leto, entrambi supermeritati. Un po’ meno per Matthew McConaughey, che è vero che sta vivendo un anno d’oro (si pensi anche alla formidabile serie tv "True detective"), dopo anni in cui è stato bistrattato; ma dare la quarta coltellata a Leo DiCaprio, attore formidabile e molto più caleidscopico di McConaughey sa di cattiveria mirata, un po’ come era successo per lungo tempo al regista Martin Scorsese, che con Leo ormai è coppia fissa. Ma tra il "lupo di Wall Street" (attaccato in Patria anche per uno sguardo scorsesiano "neutro") e l’immagine dell’ammalato di Aids, dimagrito veramente, lo scarto della commozione facile scatta immediatamente. Poi McConaughey è bravo, niente da dire, però DiCaprio è, da anni e anni, una bomba d’attore.



Scorrendo il palmares si fanno altre scoperte. Per fortuna "Her" di Spike Jonze si porta a casa qualcosa (la sceneggiatura originale), ma niente ai Coen e a Greengrass (già maltrattati nelle nomination) è un dispiacere, mentre vedere tutt’e 10 le nomination di "American hustle" andare in fumo e partorire uno zero assoluto, pur non amando troppo il film (che però è godibile), è una tortura. Poi ci sarebbe anche da dire sul mancato riconoscimento, tra i documentari, di "The act of killing", ma questo è già un settore che interessa probabilmente poco.



Italia dunque in alto nel mondo-cinema. Però l’Oscar, anche tutta la buona volontà, non è un Leone o una Palma d’oro, ma pare che dirlo sia una sgradevole imprudenza. Tuttavia Sorrentino in questo ovviamente non c’entra. E poi chi vince ha sempre ragione. Applausi.
Ultimo aggiornamento: 11:54

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