Il regista padovano Rossetto: «Nordest mondo di frontiera»

Domenica 4 Aprile 2021 di Chiara Pavan
Il regista padovano Rossetto: «Nordest mondo di frontiera»

Il Nordest, per lui, «resta ancora territorio di frontiera».

Da scrutare da vicino, senza timori o riverenze, smascherandone complessità, derive e piccoli orrori. Il padovano Alessandro Rossetto, da vero documentarista, sa come e dove fissare lo sguardo per raccontare mondi che forse non vorremmo vedere. L'ha ribadito in Piccola Patria, ritratto in nero di un'Italia che precipita nell'abisso; l'ha riconfermato in Effetto domino, spaccato sul marcio dell'imprenditoria rapace in un mondo rapace ispirato al romanzo di Romolo Bugaro. E l'ha dimostrato pure a teatro, misurandosi con Una banca popolare, altro testo dello scrittore padovano prodotto dallo Stabile del Veneto nel 2019, destinato a diventare un film in bianco e nero che svela il lato oscuro di un Veneto crudele e bancarottiero che gioca - male - con il risparmi e i destini della gente senza poi pagarne le conseguenze.

Rossetto, film pronto ma congelato?
«Sì, in attesa di tempi migliori. L'ho montato la scorsa estate, poi è stato ultimato a fine 2020. In questo periodo di lockdown sono riuscito a lavorare. Ma tutto quello che vorrei mettere in piedi è rallentato o bloccato».

E durante questi mesi che ha fatto?
«Ho studiato, ho letto e visionato come da tempo non mi accadeva. E questo mi ha fatto anche scoprire molte cose».

Tipo le serie tv? Ne farebbe qualcuna?
«Magari! Di progetti ne ho tanti, solo che non è facile in Italia».

Le serie tv italiane sono per lo più romanocenriche, con commissari o santi.
«Vero, ma ci sono anche situazioni interessanti, penso a Sorrentino col suo Young Pope e Guadagnino (We are what we are). Quest'ultima mi è piaciuta molto, il lavoro sul Veneto è stato molto filologico. Certo, si tratta di un progetto solido e di grande entità, che vede la Hbo in prima fila».

Lei cosa farebbe?
«Con la serialità? Tante cose. Ci pensavo già da Piccola patria nel 2014: per circa 6 mesi, con un produttore, si puntava a un creare una stagione di circa 10 puntate, direttamente collegata al film. Seguendo le due protagoniste femminili, Luisa e Renata, che crescevano. L'idea era di inoltrarci dentro la palude per poi tornare nel quadrilatero della tragedia. Sarebbe stata interessante per raccontare meglio il Veneto, che continua ad essere una parte del territorio italiano dimenticato. E si poteva stare al passo con gli Usa, con le serie che parlano della provincia lontana e torbida».

Tipo?
«Penso alla cappella sistina delle serialtà, Breaking bad, ma anche al recente Ethos ambientato nella Turchia di oggi, tra spinte in avanti e frenate, anche religiose, con personaggi femminili incredibili».

Lei dove guarderebbe?
«Probabilmente tornerei a Nordest. Resta sempre un territorio ai margini, ma ricco di complessità. Come in Ethos si possono trovare dinamiche simili, con una parte di società più legata al passato e alla tradizione, e un'altra molto evoluta e cosciente che guarda al mondo e alla solidarietà. Ma dal punto di vista produttivo, i progetti seriali hanno bisogno di grandi investimenti. Quindi i progetti che nascono in modo indipendente faticano moltissimo».

Cosa la colpisce maggiormente di questo territorio?
«Le dinamiche familiari: credo questo nasca dai ricordi della mia infanzia. Altro tema è la religione del lavoro che ha una serie infinita di corollari. Ma soprattutto mi ossessiona sin dalla giovinezza: dove finisce la campagna e dove comincia la città. Confini che svaniscono e che rappresentano una storia specifica e importante per il Veneto».

Dopo Piccola Patria ed Effetto Domino Maria Roveran non vede l'ora di tornare a lavorare con lei.
«Stiamo pensando a una cosa insieme, a dire la verità, a teatro. Prende le mosse dalla sua Luisa di Piccola patria e la immaginiamo cresciuta, magari sposata. Potrebbe essere un monologo per lei».

Il teatro le manca?
«Moltissimo. Il teatro e il cinema in presenza sembrano ricordi lontani. Per il teatro, poi, la dimensione live è insostituibile. Il teatro è un ingrediente fondamentale per gli esseri umani, se manca perdiamo un pezzo di umanità. Ma da noi la cultura è ritenuta una cosa laterale, non necessaria. Le conseguenze di questa mancanza, tuttavia, non siamo in grado di prevederle ancora».

Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 12:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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