«Treviso, che emozione! La politica? Non giudico»

Martedì 8 Ottobre 2019
L'INTERVISTA
TREVISO Avrebbe voluto studiare filosofia, Michele Tomasi. E' stato messo sulla strada dell'economia da un insegnante marxista. «Ci rispettavamo. Io, in politica, non giudico». Il bocconiano divenuto sacerdote seguendo le orme di padre Martini, l'accademico che avrebbe voluto solo fare il parroco, il sudtirolese innamorato della propria terra, siede oggi nella sala di velluto della sua nuova casa. E prova a mettere ordine dentro l'ubriacatura di affetto, applausi, empatia. «Con Treviso siamo in luna di miele. Finchè non faccio il primo passo falso» sorride. Qual è stato il primo pensiero ieri mattina? «Sinceramente? Dopo un sonno pieno di pace avrei voluto che la sveglia fosse più misericordiosa!»
Ieri Treviso si è scoperta città empatica, capace di un calore stupefacente. Come giudica quest'accoglienza?
«Mi ha profondamente emozionato. Non tanto perchè rivolta a me, che sono ancora un illustre sconosciuto, ma alla chiesa. C'è tanta voglia di amore. C'è tanta voglia di comunità. Viviamo in un mondo di solitudini»
Se a vent'anni, quando si apprestava a lasciare l'Alto Adige per Milano, le avessero detto che sarebbe diventato Vescovo cosa avrebbe risposto?
«Il sacerdozio non era proprio nelle mie prospettive. Quella che sentivo, fortissima all'inizio, era la nostalgia di casa. Ogni giorno andavo alla stazione centrale a guardare i treni che andavano verso Bolzano. Noi sudtirolesi siamo così: sembriamo freddi ma siamo animati di passioni forti».
Poi cosa è successo?
«Sono arrivato alla Bocconi grazie al consiglio del mio insegnante di filosofia. Era marxista, mi disse: dai uno sviluppo concreto alla tua passione speculativa. Già in collegio ho avuto un imprinting importante con un sacerdote che ci dava grande autonomia nella gestione della struttura. Poi, a Milano, sono stato letteralmente affascinato dalle prediche del Cardinale Martini. Incredibile. Con quel suo tono monocorde, sapeva infondere nei nostri cuori il fuoco vero».
E' vero che avrebbe solo voluto fare il parroco?
«Sì. Ho a lungo pensato se il sacerdozio fosse davvero una scelta per me. Ma quando mi sono deciso ho scelto di tornare in diocesi e non fare ingresso in un ordine. La mia dimensione ideale era la parrocchia: l'ho fatto per 12 anni, mi piaceva tantissimo il rapporto diretto con le persone. Parroco dunque e anche insegnante, perchè credo di avere, nel mio piccolo, la capacità di trasmettere agli altri».
E con il rock come la mettiamo?
«Chiedo perdono ai musicisti professionisti. Ho studiato 5 anni in maniera del tutto svogliata chitarra classica. Col solfeggio non aprivo quasi i libri. Posso definirmi al massimo uno strimpellatore!».
Però la musica è importante nella sua vita...
«Moltissimo. Non sono un fine conoscitore come padre Agostino ma abbiamo alcuni punti in comune. Bach e il Barocco ad esempio. E poi sì, amo il Progressive. I Genesis e Peter Gabriel».
Piacciono i suoi modi così informali. Conta di catturare in questo modo i giovani che disertano ormai i luoghi di culto?
«L'unico atteggiamento che vorrei avere è quello di non catturare nessuno, rispetto l' indipendenza di pensiero delle nuove generazioni. Io credo che i giovani vadano prima di tutto ascoltati: il mondo oggi è molto duro. Se loro possono trovare in me un interlocutore sono felice, ma forse non mi aspetto neppure tutto questo».
Non Sua Eminenza ma don Michele. Non l'auto di ordinanza ma il tragitto a piedi con gli altri.
«Cerco di essere spontaneo, io per natura sono una persona diretta e disponibile. Così mi sento bene. Poi sono consapevole del fatto che il mio ruolo oggi richieda una forma di governo del tutto diversa. Se c'è una cosa a cui non so se mi abituerò però è la quantità incredibile di fotografie che mi vengono fatte da quando sono Vescovo!.
Qual è stata la prima sensazione entrando nella Curia trevigiana?
«Qui c'è tanto amore, una diocesi bellissima. Io devo imparare molte cose, ma in questa Diocesi sento di poter navigare a occhi chiusi».
Treviso è una città di grande fede, di associazionismo e volontariato. Un fedele su tre secondo stime recenti è un elettore della Lega. Come conta di affrontare questa apparente dicotomia?
«Io non giudico. La democrazia è un valore importante e il voto è espressione insindacabile. Quello che conta per me sono le persone. Siano essi politici con la fascia o semplici cittadini».
Lei si è espresso in maniera molto chiara nei confronti dell'accoglienza verso i migranti. E' un messaggio politico?
«Io parlo all'umanità delle persone. E sulle soluzioni politiche dico: discutiamone. Il mondo è complesso, e nessuno può dire: ho la risposta. Mi viene sempre in mente una frase di padre Martini. Il bene va fatto bene. E' la nozione di carità intelligente. Ma io non posso e non voglio andare oltre: credo profondamente nel rispetto dei ruoli».
Da un Vescovo ognuno si attende la perfezione. Quale lato della sua personalità dovrà modificare in questo nuovo ruolo?
«Il compito che mi attende è molto impegnativo. D'ora in avanti dovrò sempre tenere a mente che le mie scelte ricadono su un numero molto ampio di persone. E poi dovrò forzarmi alla sintesi: da accademico tendo a sviscerare molto i problemi. Dovrò saper tirare le fila e mirare alla concretezza».
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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