Approntati controlli per evitare epidemie in carcere

Lunedì 6 Aprile 2020
Approntati controlli per evitare epidemie in carcere
IL PROBLEMA
ROVIGO Il virus ha maggiori possibilità di propagarsi in ambienti chiusi. E nulla è più chiuso del carcere. L'otto marzo le strutture penitenziarie italiane sono state attraversate da proteste e rivolte. E anche nella casa circondariale di Rovigo i detenuti hanno battuto contro le sbarre per un pomeriggio, ma non si sono registrate situazioni difficili come in altre strutture. Come quella difficile del carcere di Modena, dove nell'ambito della rivolta, con un vero e proprio assalto con razzia all'infermeria, e con la struttura pesantemente danneggiata, sono morte nove persone. La casa circondariale, che aveva 548 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 369 posti, è stata svuotata. E qualcuno è stato accolto anche a Rovigo.
A fare il punto sulla situazione sanitaria è il direttore generale dell'Ulss 5 Antonio Compostella: «Grazie anche a una collaborazione fra direzione della casa circondariale, gli operatori della polizia penitenziaria e il gruppo di sei medici, sei infermieri e una caposala della Sanità penitenziaria che fanno capo all'Ulss Polesana e che lavorano all'interno del carcere, sono state messe in atto tutte le misure di attenzione sanitaria. Sono state individuate stanze di isolamento, nell'area sanitaria, per tenere sotto controllo eventuali detenuti con sintomi sospetti. Il personale, sia medico che infermieristico, sta facendo un grande lavoro sia clinico che psicologico. Gli infermieri, durante il giro di terapia e quando i detenuti vengono in area sanitaria, li sostengono anche a livello psicologico. Da tre settimane è attiva una tensostruttura all'ingresso della casa circondariale nella quale viene eseguito un pre-triage da personale sanitario dell'Ulss, a tutte le persone che entrano in carcere a vario titolo, compresi sanitari e militari».
Anche magistrati e avvocati che sono dovuti entrare all'interno della struttura sono stati sottoposti a questo screening che prevede la misurazione della febbre e la compilazione di un formulario in cui si devono segnalare eventuali fattori di rischio. I tamponi eseguiti al momento all'interno del carcere sono stati una quindicina, spiega l'Ulss.
I detenuti sono arrivati non solo dalla casa circondariale di Modena, ma anche dalle carceri di Padova e di Pordenone. Il dato del ministero della Giustizia aggiornato al 19 marzo era di 261 detenuti a fronte di 207 posti regolamentari. La situazione quindi è particolarmente delicata. Come spiega Gianpietro Pegoraro, coordinatore polesano e regionale della Fp-Cgil polizia penitenziaria, «siamo tutti un po' preoccupati, anche se la situazione allo stato attuale sembra sotto controllo. Dal punto di vista dei dispositivi siamo stati riforniti, chiunque entra nella struttura viene controllato e gli viene misurata la febbre, ma il problema è che il contagio, come abbiamo visto, può avvenire anche attraverso persone asintomatiche. Vorremmo che venissero fatti i tamponi anche al personale, il prefetto si è mosso per questo. I problemi sono ovviamente gli spazi comuni e gli inevitabili contatti ravvicinati con i detenuti e fra i detenuti. Vorremmo che venissero fatte anche le sanificazioni. Per fortuna, a fronte delle difficoltà sorte con il blocco delle visite, c'è stata la necessaria attenzione e i detenuti possono fare videochiamate e più telefonate».
F.Cam.
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