Gli alchimisti veneti, avventure e torture

Martedì 22 Settembre 2015
Metà stregoni e metà scienziati, metà legati a un vecchio mondo di pratiche magiche e metà proiettati nel futuro della sperimentazione attraverso la quale realizzare il progresso. Pertanto idolatrati e perseguitati, convinti e impostori. Tra realtà e mitologia, gli alchimisti che cercavano le cure di tutti i mali e le tecniche per creare ricchezze dal nulla vissero e operarono ammantati di leggenda. Cagliostro, Paracelso, Nicolas Flamel: libri e film ne hanno sancito a posteriori quell'immortalità di cui si credeva fossero dotati. Da Goethe alla Yourcenar, hanno sempre affascinato la letteratura. Ma accanto ai grandissimi di tutti i tempi, anche il Nordest, come sempre, seppe produrre le sue eccellenze. Rievocate dallo studioso di Castelfranco Veneto Furio Gallina in "Miti e storie di alchimisti tra il medioevo e l'età contemporanea" (mp/edizioni).
Oltre che a Venezia e Padova, l'alchimia veniva praticata e studiata a Treviso, dove ancora nella biblioteca del seminario si conservano testi che vi fanno riferimento. Leggenda vuole che il capoluogo della Marca fosse stato predestinato da una profezia addirittura di mago Merlino: «A Treviso dovrà nascere un personaggio che produrrà una quantità infinita d'oro e d'argento». E lì maturò la tragica vicenda di tal Claudio Textor, lettore e possessore di volumi alchemici, che fu denunciato due volte all'Inquisizione. La prima si salvò con l'abiura, la seconda, spossato dalle torture, preferì andare incontro alla morte rinnegando anche il precedente pentimento e fu annegato nella laguna di Venezia nel 1587.
Giovanni da Padova, Pietro d'Abano. Ma il più illustre degli alchimisti veneti fu un altro padovano, Bernardo Trevisan, misterioso a tal punto che è stato confuso con una serie di quasi omonimi personaggi del tempo. Non era lui, per esempio, il Bernardino filosofo e medico a cui è dedicata una statua in Prato della Valle. La vita del nostro Bernardo sarebbe durata 400 anni. In realtà, evidenzia Gallina, ne visse 84, dal 1406 al 1490 circa: questa longevità, incredibile per l'epoca, avrebbe contribuito ad alimentare il mito. Certo è che girò il mondo: l'Europa, il Nord Africa e l'Oriente, tra stenti e pericoli finché soltanto in tarda età si vantò di aver scoperto la pietra filosofale, il chimerico minerale capace di trasformare il ferro in oro. Invenzione sulla quale, ovviamente, è più che lecito dubitare.
Di lui si occuparono, direttamente o indirettamente, Burckhardt, Jung, Zolla. La vera “materia oscura” che emerge dal volume di Gallina è invece proprio la verità storica su questo personaggio affascinante, che meriterebbe un ulteriore lungo lavoro di ricerca e disambiguazione. Per esempio, gli vennero attribuiti titoli nobiliari privi di fondamento, tra i quali quello di “conte di Treviso”. Quello che è certo è che a lui si deve il "Libro della filosofia naturale dei metalli", scritto in francese e ancora oggi consultabile in internet. Un trattato che prima di addentrarsi nelle pratiche fornisce notizie preziose sugli alchimisti suoi maestri, descrive in parte la sua vita romanzandola e che soprattutto indica un'etica professionale tra tanti mestieranti senza scrupoli: l'importanza di evitare derive e tentazioni che contaminerebbero la disciplina alchemica e comprometterebbero la reputazione. Fino alla confessione di aver speso molto denaro e viaggiato molto per nulla: ciò che ho appreso, dice Bernardo, l'ho imparato dai libri. Ma da buon esoterista si guarda bene dallo spiegare quali.
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