Al lavoro positivo, la Procura ricorre

Sabato 24 Ottobre 2020
DAL TRIBUNALE
BELLUNO Il caso Bianchini sbarca in Cassazione. Non si arrende il procuratore Paolo Luca e prosegue con la richiesta della misura cautelare per tre dei cinque coinvolti nell'inchiesta per epidemia colposa al San Martino. Dopo i rigetti del gup di Belluno e del Tribunale del Riesame di Venezia, il pm ha preparato un ulteriore ricorso che sarà discusso a Roma. Roberto Bianchini, 61 anni, primario di Otorinolaringoiatria al San Martino, è accusato di aver provocato il primo focolaio all'ospedale di Belluno dopo essere tornato da una vacanza a Ko Samui (Thailandia), dal 14 al 24 febbraio, insieme alla moglie e a una coppia di amici. Secondo quanto ricostruito dalla Procura Bianchini ha ripreso a lavorare subito senza comunicare alla Direzione medica che era appena rientrato da un paese classificato a rischio epidemico. Il 3 marzo, nonostante la comparsa dei primi sintomi simil-covid, ha continuato a visitare pazienti senza mascherina. Fino al 9, quando ha eseguito il tampone ed è risultato positivo. Indagati, insieme a lui, Raffaele Zanella, 60 anni, Antonella Fabbri, 58, Cristina Bortoluzzi, 52, e Tiziana Bortot, 60, rispettivamente presidente e componenti dell'Ufficio procedimenti disciplinari dell'Usl 1 Dolomiti. L'ipotesi di reato, per loro, è di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale per aver coperto e aiutato il primario a eludere le indagini della Guardia di Finanza. Questi accertamenti hanno spinto il pm a chiedere, per Bianchini, Zanella e Fabbri, la sospensione dal lavoro per tre mesi. Per il primario specificava addirittura, oltre alla «gravità del reato commesso» (epidemia colposa aggravata), anche il «pericolo di reiterazione di reati della stessa specie». C'è stato un primo rigetto a Belluno. E poi un secondo al Tribunale del Riesame. Il giudice veneziano ha ammesso che le condotte del primario, soprattutto nel periodo in cui è andato a lavorare con sintomi simil-covid, sono state caratterizzate «da colpevole sottovalutazione della situazione e da chiara superficialità». Ma ha aggiunto che non è possibile stabilire un nesso causale, necessario per la configurazione del reato di epidemia colposa, tra il suo comportamento e lo scoppio del focolaio. Non solo. Nel caso in cui non fosse partito da lui, non si può dire nemmeno che l'abbia aggravato, dato che non è possibile escludere «fonti di contagio alternative in ragione dell'ampia diffusione del virus in Italia a marzo 2020». Dopo aver smontato anche i gravi indizi di colpevolezza a carico di Zanella e Fabbri, il giudice ha rigettato la richiesta del pm bellunese che ha portato la questione a Roma. Gli avvocati della difesa sono sereni: «Saremo felici di dimostrare la nostra innocenza a Roma. È una caccia alle streghe e rischiamo di perdere un ottimo professionista che rende grande la sanità bellunese».
Davide Piol
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci