Negli Anni '90 chi cercava lavoro scriveva al Signor Aprilia, Noale. E a Mestre

Mercoledì 14 Marzo 2018
Negli Anni '90 chi cercava lavoro scriveva al Signor Aprilia, Noale. E a Mestre la signora Aprilia Semenzato dovette cambiare numero di telefono perché la svegliavano a ogni ora della notte da tutto il mondo: Hallo Aprilia?. Aprilia era sinonimo di Venezia, la visita alla fabbrica era inserita nei pacchetti dei tour operator.
L'Aprilia era così famosa ed efficiente che l'imprenditore Ivano Beggio divenne in quegli anni Cavaliere del Lavoro per aver portato l'azienda a elevatissimi livelli tecnologico-produttivi, poi Cavaliere della Repubblica, e due Università Pisa e Venezia lo laurearono ad honorem in ingegneria meccanica e in economia aziendale. Era un periodo in cui gli riusciva tutto, sembrava avesse il tocco di Re Mida per trasformare ogni cosa in oro: il fatturato che nel 1982 era di sette miliardi di lire, nel 1997 sfiorava i mille miliardi! Uscivano dalla catena di montaggio 300 mila motoveicoli, la metà esportati.
Era famoso, soprattutto, perché le sue moto erano le più veloci al mondo, conquistavano titoli su titoli, vincevano Gran Premi a grappoli, erano guidate dai più grandi piloti che spesso Beggio aveva scoperto personalmente: Max Biaggi, Valentino Rossi, Gramigni, Locatelli, Melandri. I primi due gli devono tanto. Era diventato la leggenda del motociclismo mondiale e il simbolo del made in Italy che vinceva. Aveva trasformato Noale da piccola realtà veneta a gigante industriale che si confrontava con i colossi giapponesi e li batteva. Aveva filiali in Giappone, negli Usa e in Brasile.
Ivano Beggio è morto l'altra notte a 73 anni nella sua villa cinquecentesca di Asolo, sui colli prima che col Grappa diventino montagna. Da anni si era isolato, nel 2004 aveva dovuto cedere l'Aprilia alla Piaggio ed era uscito di scena rifugiandosi nella villa asolana e nella devozione per la Madonna.
GLI INIZI
Tutto incomincia il 31 agosto 1944 a Rio San Martino, frazione di Scorzè, nel Veneziano. Il padre Berto a guerra finita apre una fabbrica di biciclette, sono il mezzo più richiesto per chi va al lavoro, per chi all'alba coperto di mantella pedala verso le ciminiere di Porto Marghera. Berto va in giro per venderle spingendosi fino a Mestre: La sua America era lunga venti chilometri. Hanno una casa a due piani, con i poggioli: Bastava per dire xe roba da siori. Ma era più lo spazio dell'officina: Dormivo tra cerchioni e fanali di biciclette.
A cinque anni vede la prima corsa ciclistica col padre a Badoere, nel Trevigiano. Sessanta giri della piazza con i corridori che sfiorano pericolosamente le colonne, Vince Pinarello che poi fabbricherà biciclette da corsa. Berto è uomo duro e pratico, pensa che il ciclismo porti pubblicità, finanzia una Coppa Beggio e gira con la Topolino sulla quale ha issato i suoi prodotti: una bicicletta, una macchina per cucire e una cucina economica. Ivano apprende subito la lezione. Ad incominciare dal marchio, una A stilizzata, e dal nome: Aprilia come l'auto della Lancia. Chi vuoi che compri una bicicletta Beggio?, dice Berto al figlio.
Gli piacciono anche le automobiline rosse a pedali, per una di queste a nove anni si perde alla Fiera di Padova e devono chiamare i genitori con l'altoparlante. È tifoso della Juventus di Charles e Sivori e gioca a calcio da portiere: manterrà la maglia numero 1 anche da imprenditore, difendendo la porta dei Lions.
La malattia del padre lo costringe a lasciare gli studi e lavorare in fabbrica. Nel 1969 prende in mano l'azienda e la trasforma puntando sulla produzione di motociclette e scooter. In poco tempo l'Aprilia diventa leader nelle motociclette di piccola cilindrata (50 e 125); nel decennio successivo, avvalendosi di designer e progettisti di talento, lancia una serie di modelli adatti al traffico cittadino. Il boom è nel 1991 con lo Scarabeo al quale seguono un anno dopo il primo scooter e la prima moto a due tempi con marmitta catalitica. Nel '98 entra nel settore moto di grande cilindrata con la RSV Mille pronta per il mondiale Superbike, eletta moto dell'anno. Nel 2000 acquisisce due marchi storici, la Guzzi e la Laverda.
IL SUCCESSO
Il tutto è amplificato dai successi delle Aprilia sui circuiti internazionali: i suoi piloti si aggiudicano 9 titoli mondiali e 70 vittorie nei Gran Premi. Ogni vittoria si trasforma in moto prenotate. La vecchia fabbrica non basta più, arriva Romano Prodi per inaugurare lo stabilimento di Noale, più di 1200 dipendenti, uno scooter ogni tre minuti, una moto ogni cinque.
È il momento d'oro, nel 1991 diventa presidente della Confindustria veneziana e l'esordio nel salone di Ca' Gambara sul Canal Grande fa rumore: I politici deludono, partiti cambiate Non possiamo aspettare. Gli replica duro il presidente del Consiglio Andreotti: Gli industriali stanno adottando la strategia dello sfascismo. Lui spiega che non vuole la fine dei partiti, ma è giusto pretendere che i partiti si rinnovino. Mani pulite è dietro l'angolo del calendario.
Il giornalista Beppe Donazzan gli dedica un bel libro intitolato Il Signor Aprilia, una lunga intervista nella quale Beggio racconta: La mia è un'azienda che ama sognare, ma che subito dopo programma, investe e lavora in gruppo per realizzare il sogno.
IL DECLINO
Solo che a volte i sogni muoiono. L'uomo che ha creato la moto più veloce e più venduta, che ha sfidato i giapponesi, che ha inventato Biaggi e soprattutto Valentino Rossi per il quale stravede, l'imprenditore famoso per intuito, coraggio e creatività, adesso ha osato troppo. Ha diversificato in cucine, mobili, altre aziende che non hanno niente a che vedere con la moto e che lo portano verso una crisi dalla quale lo salvano la cassaforte dell'Aprilia e l'intervento delle banche. Come rivincita andrà a fare il presidente della stessa banca veneziana che lo ha aiutato, dimostrando di essere un imprenditore capace di venire fuori dalle acque agitate. Gli subentra la Piaggio nel 2004 e da quel momento la sua storia continua fuori dalla ribalta.
È stato un grande del Nordest, ha creato quasi dal nulla un colosso dell'industria mondiale. Positivamente visionario, qualche volta senza il senso della misura. Ha rappresentato la nuova generazione dell'imprenditoria veneta, capace di insolita fantasia. Ha sviluppato sapere tecnico e una sua cultura del produrre, ha pensato a una fabbrica più flessibile senza dimenticare gli aspetti umani e la solidarietà. Quando sembrava che la sola ricetta del successo consistesse nell'aggiungere Nordest al nome in società, lui controcorrente sosteneva che non esiste un modello veneto.
All'alba del Duemila Elisa avvertiva da Sanremo che a Nordest c'erano luci e tramonti: Siamo nella stessa lacrima. E Beggio sembrava dire le stesse cose. Ma il suo tempo delle luci era già avviato inesorabilmente al tramonto.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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