Banca Popolare di Vicenza, «i vertici sapevano che il valore delle azioni era sopravvalutato: ma le hanno vendute alla povera gente»

Sabato 18 Giugno 2022 di Gianluca Amadori
Gianni Zonin

MESTRE - «I vertici della Banca Popolare di Vicenza erano consapevoli che il valore delle azioni della banca era sopravvalutato: ciò nonostante abbiamo continuato a venderle alla povera gente che poi ha perso tutto». Lo ha dichiarato l'ex vicedirettore generale Emanuele Giustini, condannato in primo grado a 6 anni e tre mesi per il crac dell'istituto di credito, rispondendo alle domande dei difensori degli altri imputati che si stanno difendendo di fronte alla Corte d'appello di Venezia.

La prova della consapevolezza della sopravvalutazione dei titoli è arrivata dalla registrazione audio della seduta del consiglio d'amministrazione del novembre del 2013, ascoltata ieri in aula, nella quale l'allora presidente Gianni Zonin (condannato a sua volta dal Tribunale di Vicenza a 6 anni e 6 mesi) propose di insediare un comitato per studiare la proposta di riforma della governance della banca, con l'idea di far entrare nuovi importanti azionisti e cercare di risolvere le grosse difficoltà che in quel periodo riguardavano tutte le Popolari. In quella riunione di consiglio fu Gianandrea Falchi, ex segretario di Mario Draghi in Bankitalia, diventato da poco consulente di Zonin, a sottolineare che «il valore delle azioni è sopravvalutato». Giustini ha dichiarato alla Corte che però non fu fatto nulla: anzi, nel 2014 fu votato un aumento di capitale che pochi mesi prima si era negato di voler proporre.

L'ex vicedirettore generale di BpVi ha tenuto testa con risposte pacate e precise alle domande dei difensori, continuando a ribadire che Zonin sapeva tutto delle cosiddette operazioni baciate e che la banca veniva gestita da lui assieme al fedele direttore generale Samuele Sorato (ancora sotto processo in uno stralcio del processo di primo grado). «Era impossibile reagire al duo Zonin-Sorato - ha dichiarato Giustini - Io e altri dirigenti eravamo preoccupati in relazione alla regolarità delle operazioni, ma non potevamo parlarne al Cda: saremmo stati fuori della banca in un minuto: non ci doveva essere traccia ufficiale delle baciate». Nell'udienza di ieri si è parlato molto dell'operazione fatta dall'allora consigliere d'amministrazione ed ex presidente di Confindustria Vicenza, Giuseppe Zigliotto (assolto in primo grado) che inizialmente aveva chiesto un finanziamento di un paio di milioni per la sua attività imprenditoriale e fu convinto ad acquistare azioni per una decina di milioni.
«Non so se Zigliotto conoscesse l'esistenza del sistema delle baciate - ha precisato Giustini - Con lui parlai soltanto del suo finanziamento, per il quale si assicurò che Zonin fosse d'accordo. Tra i due i rapporti erano contrastati: Zigliotto ambiva a diventare presidente al suo posto».

L'ex vicedirettore generale ha risposto anche in relazione ai numerosi reclami presentati dai clienti che avevano chiesto invano di liquidare le azioni.

Numerose domande sono state poste dal difensore di Zonin, l'avvocato Ambrosetti, impegnato a dimostrare che l'allora presidente nulla sapeva delle operazioni baciate e che nel Cda del novembre del 2013 Zonin era impegnato a fare di tutto per rafforzare la banca. Infine la vicenda della presunte mail cancellate. Giustini ha spiegato di aver scritto al responsabile dei sistemi informatici per sapere se effettivamente Zonin gli avesse chiesto di rimuovere le sue mail. «Mi ha risposto di non ricordare, di dover ricostruire la vicenda, per poi precisare che le mail non si sarebbero potute comunque cancellare». Il processo proseguirà lunedì con l'esame di Giustini da parte della difesa di Massimiliano Pellegrini, l'ex responsabile della Divisione Bilancio, assolto in primo grado.

Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 12:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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