Banca Popolare di Vicenza, i motivi della condanna: «Zonin era monarca assoluto»

Sabato 19 Giugno 2021 di Maurizio Crema
Banca Popolare di Vicenza, i motivi della condanna: «Zonin era monarca assoluto»
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I soci volevano vendere le azioni ma la banca non rispondeva più, svuota fondo e altre alchimie non potevano più essere utilizzate nel 2014 e 2015, quindi il castello costruito dalle baciate per tenere alti i parametri patrimoniali della Popolare di Vicenza stava crollando sotto il peso di circa un miliardo di baciate. Ma i vertici della banca non rivelarono la situazione. Nelle oltre mille pagine delle motivazioni della sentenza depositate giovedì sera i giudici del tribunale di Vicenza che hanno condannato Gianni Zonin a 6 anni e messo di reclusione per aggiotaggio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza insieme agli ex vice direttori Emanuele Giustini, Paolo Marin e Andrea Piazzetta (assolti l'ex consigliere Giuseppe Zigliotto e l'ex manager Massimiliano Pellegrini), hanno spiegato i motivi delle loro decisioni.

E l'avvocato difensore dell'ex presidente Enrico Ambrosetti, interpellato in serata, si limita ad annunciare la rivincita: «Non abbiamo ancora letto le motivazioni, ma faremo sicuramente appello».


Il quadro ricostruito era di una banca dai piedi d'argilla. E secondo i giudici il primo responsabile di quella situazione è stato proprio il presidentissimo per 19 anni, che esercitava un ruolo preponderante e in definitiva non poteva non sapere dei problemi patrimoniali della Popolare. Nelle mille pagine si ricostruiscono le operazioni mirabolanti con i fondi stranieri e le baciate di paese, l'assistenza ai tanti imprenditori del territorio, alcuni dei quali sedevano in cda senza capire granché di banca. E su tutti da queste mille e passa pagine emerge il ruolo di Zonin, come tratteggiato anche dall'ispettore Emanuele Gatti, capo della squadra ispettiva della Bce che radiografò finalmente a fondo i conti dell'istituto: «Il presidio del presidente sui fatti aziendali e sulla gestione era molto forte. Era un fatto notorio e l'ispezione me ne ha dato consapevolezza che nulla si muovesse senza che Zonin fosse informato».


LE SCELTE AL VERTICE
«Zonin ha esercitato una forma persuasiva sulle dinamiche consiliari, selezionando personalmente i candidati, allo scopo dichiarato di assicurarsi una squadra unita e coesa - recitano le motivazioni -, i prescelti erano esponenti dell'imprenditoria locale la cui conoscenza dei complessi meccanismi di impresa bancaria era del tutto superficiale, se non del tutto inesistente». Sul punto è significativa la descrizione fatta da Zigliotto delle competenze professionali di alcuni suoi colleghi in cda: «Miranda era un artigiano, un elettricista, aveva ottime logiche relazioni, ma se entravi in un bilancio ci si limitava a pochi numeri da un punto di vista d'approfondimento». E sulle liste per il cda l'imprenditore poi assolto era stato preciso: «Io in 12 anni di banca non ho mai visto altre liste... il presidente individuava lui i consiglieri d'amministrazione». Sulla stessa linea anche le testimonianze di consiglieri come Monorchio, Zuccato, Miranda. E per lo storico direttore Divo Gronchi «il ruolo di presidente stava stretto a Zonin, svolgeva un ruolo di impulso rispetto al cda e di indirizzo della direzione generale della banca». E il collegio sindacale? Secondo Gatti «sul finanziamento delle azioni non capivano neanche che male c'era». Invece era patrimonio fittizio. Per il tribunale, il cda era totalmente «asservito» a Zonin. Che, secondo la sentenza, intervenne anche per la conferma del valore proposto dall'esperto in deroga al decalogo operativo adottato dalla banca: «E il comunicato stampa firmato da Zonin non dà conto di questa deroga né del sensibile margine di scostamento». Insomma, come dice Marcello Paoli, vice responsabile della direzioni marketing «Zonin era molto presente è impensabile che non avesse consapevolezza di quello che stava accadendo e di questo tipo di operazioni». Zonin ha sempre smentito di conoscere il fenomeno delle baciate e di aver mai favorito imprenditori e consiglieri, ricordando che anche la sua famiglia ha perso decine di milioni. Ma forse quello che sa veramente come sono andate le cose è l'ex direttore Samuele Sorato, imputato in un processo connesso, che in un'intercettazione riportata nella sentenza ricorda che era Zonin «che impostava le cose, era lui che diceva come fare gli aumenti di capitale, si portava in consiglio d'amministrazione tutto... e come ben sai , io al presidente dicevo tutto». Ora la parola passa ai giudici di Venezia per l'appello.

Ultimo aggiornamento: 13:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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