Poliziotti arrestati per torture in questura: ci sono un bellunese e un veronese - I nomi. Lo spray, l'urina, l'acquario: quelle frasi choc nelle intercettazioni

Prima i pestaggi, poi le risate. Dall'indagine emerge una situazione incredibile: le vittime erano umiliate, usate come stracci per pulire il pavimento

Mercoledì 7 Giugno 2023 di Angela Pederiva
Poliziotti arrestati per torture in questura: ci sono un bellunese e un veronese

VERONA - Dopo i pestaggi, il gruppo ridacchiava. «Com'è che non l'ha ammazzato?», si chiedevano gli uni dell'altro. «Mi raccomando, quelle che non gli hai dato prima, dagliele dopo», diceva qualcuno al collega. Sono stralci di intercettazioni-choc quelli riportati nell'ordinanza di 169 pagine con cui la gip Livia Magri ha disposto la custodia cautelare ai domiciliari nei confronti di 5 poliziotti della questura di Verona.

I nomi dei poliziotti arrestati

Si tratta dell'ispettore milanese Filippo Failla Rifici di 35 anni, l'assistente bellunese Roberto Da Rold di 44, l'agente napoletano Alessandro Migliore di 24, l'assistente capo veronese Loris Colpini di 51 e l'agente catanese Federico Tommaselli di 31.

Poliziotti arrestati per le torture in questura, nelle prossime ore saranno fissati gli interrogatori di garanzia

Le accuse

Le ipotesi di reato, a vario titolo, sono tortura, lesioni, falso, omissione di atti d'ufficio, peculato e abuso d'ufficio ai danni di persone sottoposte alla loro custodia fra luglio del 2022 e marzo del 2023. A due degli arrestati è stata contestata l'aggravante della discriminazione o dell'odio etnico, nazionale, razziale. Ci sono poi altri 10 indagati a piede libero e in tutto si contano 23 divise trasferite, per il sospetto che non abbiano impedito o denunciato i presunti abusi.


Le vittime: un solo italiano, gli altri stranieri


Sono 7 gli episodi ricostruiti dalla Procura attraverso gli accertamenti delegati alla Squadra mobile, che ha così dovuto indagare sui colleghi delle Volanti, accusati di aver picchiato e umiliato soggetti "fragili" in occasione di controlli e fermi, mostrando «una consuetudine nell'utilizzo ingiustificato di violenza fisica». È italiano solo quello che il 22 agosto viene colpito da un poliziotto con un «vigoroso schiaffo sul volto tale da fargli perdere i sensi per dieci minuti» e con un calcio inferto da un collega «istigato a infierire».

Tutte le altre vittime sono invece immigrate, come evidenzia il giudice per le indagini preliminari: «I soprusi, le vessazioni e le prevaricazioni poste in essere dagli indagati risultano aver coinvolto in misura pressoché esclusiva soggetti di nazionalità straniera, senza fissa dimora ovvero affetti da gravi dipendenze da alcol o stupefacenti, dunque particolarmente "deboli"». Questo fatto secondo il gip Magri «da un lato ha consentito agli indagati di vincere più facilmente eventuali resistenze delle loro vittime, e dall'altro ha rafforzato la convinzione dei medesimi di rimanere immuni da qualunque conseguenza di segno negativo per le loro condotte, non essendo prevedibile nella loro prospettiva che alcuna delle persone offese si potesse determinare a presentare denuncia o querela».

Le torture


Il 21 ottobre tocca a un nordafricano: «Tunisino di merda, figlio di puttana, cosa ci fai qui?», lo provocano spruzzandogli lo spray urticante, prendendolo a calci e mortificandolo con una «azione degradante consistita nell'avere, uno dei poliziotti, urinato sulla parte lesa distesa a terra dopo aver proferito le espressioni: "So io come svegliarlo"». Anche un bisogno fisiologico, secondo l'accusa, diventa uno strumento di angheria: un romeno identificato al bar mentre beve una birra con un amico, viene dapprima percosso e successivamente costretto a fare la pipì nella stanza dei fermati, salvo poi essere spinto in un angolo, buttato a terra e usato «come uno straccio per pulire il pavimento», umido di urina, mentre i poliziotti «lo deridevano e gli puntavano contro, a intermittenza, una torcia». Nelle captazioni ambientali del 26 ottobre, si sente dare del «marocchino di merda» e del «bastardo» a un magrebino, colpito con un calcio. È africano anche l'uomo trovato in strada senza documenti nella notte tra il 9 e il 10 novembre. In base alle immagini dell'impianto di videosorveglianza, l'assistente Da Rold è accusato insieme a un collega di averlo picchiato «con calci, sberle e spintoni». Stando ai riscontri degli inquirenti, il bellunese «gli faceva urtare violentemente il capo contro la panca presente in questura, e lo minacciava di usare di nuovo lo spray urticante». All'ispettore Failla Rifici viene contestato di aver fatto altrettanto («Ti spruzzo nel culo»), mentre i colleghi «continuavano a percuoterlo ripetutamente con schiaffi e calci, prima nella sala redazione atti e quindi nel corridoio, per poi trascinarlo nella stanza "Fermati"».


La telefonata con la fidanzata


Cioè quella descritta dall'agente Migliore in una chiamata intercettata: «Ripetutamente descriveva al telefono alla propria fidanzata, con evidente compiacimento, la commissione, da parte sua e di altri colleghi, di condotte gratuitamente violente e sadiche nei confronti di soggetti privati della libertà personale, anche solo per identificazione, spesso trattenuti nella stanza fermati, denominata cinicamente "L'acquario" per la presenza di una parete in plexiglas attraverso la quale il personale di polizia era ed è in grado di osservare "i pesci rinchiusi"». Nella registrazione, il poliziotto riferisce così alla sua ragazza le botte alla vittima: «Adesso ti faccio vedere io quante capocciate alla porta fai, boom boom boom boom (...) e io ridevo come un pazzo». E ancora: «Gli ho lasciato la porta aperta in modo tale che uscisse perché io so che c'è la telecamera dentro (...) Mi ero messo il guanto, ho caricato una stecca amò, bam, lui chiude gli occhi, di sasso per terra è andato a finire, è rimasto là (...) Gliel'ho tirata bene, gli ho detto adesso lo sfondo, bam (...) Minchia che pigna che gli ho dato».

Severa la valutazione del gip Magri: «È innegabile che tutti gli indagati abbiano tradito la propria funzione comprimendo i diritti e le libertà di soggetti sottoposti alla loro autorità, offendendone la stessa dignità di persone, creando essi stessi disordine e compromettendo la pubblica sicurezza, commettendo reati piuttosto che prevenirli, in ciò evidentemente profittando della qualifica ricoperta».

Ultimo aggiornamento: 17:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci