Uccisa nel condominio, il dna di Marcella incastra il vicino di casa immigrato

Mercoledì 19 Agosto 2020 di Cristina Antonutti
Il condominio di via Croce Rossa a Portogruaro dove è avvenuto l'omicidio lo scorso 22 luglio
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PORTOGRUARO - Sulla maglietta di Wail Boulaied c’è il sangue di Marcella Boraso, la 59enne di Portogruaro uccisa nelle case Ater di via Croce Rossa 98 la notte del 22 luglio. 
La conferma arriva dai carabinieri del Ris e mette un punto fermo in un quadro indiziario che la difesa del 23enne marocchino, in misura cautelare per omicidio, ha tentato invano di scalfire con un ricorso al Tribunale della libertà di Trieste. 

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Il 7 agosto, quando è stato discusso il riesame, il pm Carmelo Barbaro non aveva ancora notizie sulle tracce di sangue. «La telefonata da Parma - conferma il procuratore Raffaele Tito - è arrivata mentre i giudici si ritiravano in camera di consiglio: il Dna è quello della vittima». I gravi indizi e la misura cautelare sono stati confermati nonostante mancassero indicazioni sulle tracce ematiche. «Adesso tutto cambia, anche se restano tante incongruenze da chiarire - osserva l’avvocato Marco Borella - Resto in attesa di esaminare i risultati delle analisi fatte dal Ris su impronte e scarpe, ma anche di capire che fine abbiano fatto le chiavi di casa della vittima. Boulaied nega di averla uccisa, ripete che per lui era come una madre».
L’INCENDIO
Anche i giudici del Riesame ritengono che l’omicida abbia appiccato il fuoco per nascondere il delitto. Le azioni sarebbero avvenute in due tempi diversi: alle 3.30 la barbara uccisione della donna, tramortita con una bottiglia di vetro e poi sbattuta contro il water; alle 7 l’incendio causato da due fornelli lasciati accesi (il calore ha sciolto la cappa della cucina). Le fiamme si sono spente da sole a causa dell’assenza di ossigeno nell’appartamento, circostanza che ha spinto i giudici a riqualificare l’ipotesi di incendio doloso in un tentativo.
L’OMICIDIO
Contraddizioni, orari e particolari riferiti al fratello durante le intercettazioni in caserma fanno ritenere i giudici che Boulaied possa aver mentito per procurarsi un alibi.
È lui stesso a ricostruire la scena del delitto al fratello ipotizzando che la vittima avesse cucinato qualcosa e fosse poi andata in bagno per lavarsi, scivolando e «spaccandosi» la testa perchè la vasca era piena d’acqua. Come faceva a sapere questi particolari se subito dopo la scoperta del delitto è stato prelevato dai carabinieri e trattenuto in caserma? Sentito solo prima di mezzanotte?
E il suo telefonino era rimasto a casa? Per conoscere certi particolari, secondo i giudici, non poteva che essere sul luogo del delitto. L’avvocato Borella ha insistito sul fatto che un carabiniere gli aveva detto che la donna era morta sbattendo la testa sul bidet. 
«E al fratello lui parla di bidet, non di water», ricorda il legale.
L’ALIBI
Secondo il Riesame, servono nuove verifiche su alcuni indizi. A cominciare dall’alibi fornito durante l’interrogatorio di garanzia, dagli spostamenti di Boulaied dopo che il fratello è andato a dormire e dai rumori sentiti dai vicini. 
Ci sono poi i guanti in lattice verdi trovati nel bagno della vittima: li ha indossati lui? Corrispondono a quelli sequestrati nell’alloggio Ater che occupava abusivamente?
È fuliggine quella trovata nelle sue scarpe da ginnastica bianche? 
Ancora aperta, inoltre, la questione del telefonino. Bisognerà chiarire se la notte del delitto, come da lui riferito, era in videochiamata con la fidanzata in Marocco. 
Per quanto riguarda le macchie di sangue sulla maglietta, il medico legale Antonello Cirnelli aveva già escluso che fosse il sangue dell’amico che la sera stessa il 23enne aveva difeso durante una lite al bar.
Il pugno che gli avevano sferrato al naso non gli aveva provocato emorragie. E il Dna trovato dal Ris lo conferma.
Cristina Antonutti
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Ultimo aggiornamento: 08:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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